Il lento risollevarsi dell'ombra del vesuvio.


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Un paio di giorni fa, o forse uno, ho letto un articolo su un post che trattava della pessima situazione che vive Napoli in questo periodo (io direi da quando mi ricordo di ricordare). Nell’articolo, che non ho condiviso, si faceva apertamente e ripetutamente riferimento all’invio dell’esercito a Napoli, affermando che solo con un’azione repressiva nei confronti dei delinquenti e della popolazione che li protegge, si può arrivare a creare un sistema all’interno del quale il buon cittadino possa mostrare la testa e farsi sentire.

Seguire questa strada sarebbe come dimenticare la storia. Ci sono state numerose politiche repressive, basti fare una ricerca su google per trovare riferimenti storici a decine, e tutte con un fine comune: il fallimento. Un popolo, soprattutto quello napoletano, che ha radicato nei propri usi e nel proprio sistema sociale una forma di anarchia e di non appartenenza allo stato (tanto niscune se ne fotte!!), può essere indotto a ricredersi solo se gli si dimostra il contrario (a nuje nce ne fotte… e come!!).

Io sono napoletano, ci sono nato a Napoli, sono andato a scuola Napoli (prima al Geometra di Via Foria e poi all’università di Fuori Grotta) e se non avessi avuto un’educazione semplice come solo due genitori figli della campagna come i miei sanno dare, sentirei forte l’assenza dello stato (in quanto stato). Per non tergiversare e per non appallare chi legge (almeno spero che lettori ce ne siano) vi riporto una storiella che ho scritto due anni fa su InterNapoli, storia che ha come spunto una geniale e semplice intuizione di due crimilogi americani: “la teoria della finestra rotta” e che credo possa essere lo spunto per una pù corretta impostazione del problema e della sua soluzione (se mai se ne avesse l’intenzione di cercarla!!).

“L’ormai noto Gennaro Esposito (soggetto già di altre mie storielle, è una “brava persona “. domdin), per andare a lavoro, fa un tratto di strada che costeggia un edificio di pubblica utilità con i mattoncini rossi, osserva sempre la fila ordinata di finestre che affacciano sulla strada e prosegue verso l’ufficio.
Gennaro Mezzarecchia (soggetto di altre mie storielle, è il delinquente di turno. domdin), la mattina non ha niente da fare perché non sempre c’è la possibilità di rapinare qualcuno e, un bel giorno, si ritrova ad osservare la bella fila di finestre dell’edificio pubblico con i mattincini rossi che il signor Esposito apprezza tanto. Si avvicina furtivamente ad una di queste finestre e senza una plausibile ragione ne rompe una. La quiete cala sulla città e la notte avvolge i nostri due amici.

La mattina dopo, Gennaro Esposito si appresta a costeggiare il palazzo di pubblica utilità dai mattoncini rossi e nota, con grande stupore, che una delle finestre è rotta. Rimane negativamente colpito ma prosegue, -l’aggiusteranno- pensa ingenuamente.
Poche ore dopo, l’acerrimo nemico del Mezzarecchia, Ginino Mazzacorta, nota che una delle finestre del palazzo di pubblica utilità con i mattoncini rossi è stata rotta. Si avvicina con passo felpato e ne rompe un’altra con un bel colpo assestato proprio nel mezzo. La quiete cala sulla città e la notte avvolge i nostri tre amici.

La mattina dopo per Gennaro Esposito è di nuovo un colpo. Raggiunto l’edificio di pubblica utilità con i mattoncini rossi si accorge che non solo la finestra rotta non è stata aggiustata ma che ne è stata rotta un’altra. –Che razza di città è questa!- pensa indignato il nostro onesto cittadino prima di proseguire verso l’ufficio.
Pochi minuti dopo, Gennaro Mazzacorta ha in mano la foto di una felice famigliola che ha appena trovato in un portafogli poco prima sfilato in un autobus di linea, la contempla per un secondo e la butta nel cassonetto dell’immondizia che costeggia il palazzo dai mattoncini rossi. Osserva con stupore che le finestre rotte sono due, fa un mezzo sorriso di soddisfazione e con un calcio al cassonetto ne rovescia il contenuto per la strada. –Tanto nisciuno dice niente!- pensa il nostro odiato delinquente.
A completare la giornata ci pensa il Mazzacorta che osserva le finestre ancora rotte e l’immondizia per la strada. Raccoglie dalla tasca un fiammifero, da’ fuoco ad un pezzetto di carta, lo butta sul cumulo di sacchetti della spazzatura e torna da dove è venuto. Alle sue spalle le fiamme prendono corpo in un riverbero di luci e calore, tra i sacchetti e le bottiglie di vetro mestamente brucia la foto di una ignara e felice famigliola.

La quiete cala sulla città e un acre odore avvolge il palazzo di pubblica utilità dai mattoncini rossi… Trascorre un mese.

L’onesto cittadino Gennaro Esposito non costeggia pù il palazzo di pubblica utilità, è stato costretto a cambiare percorso. Ormai nell’edificio dai mattoncini rossi regna il degrado: tutte le finestre sono state rotte, le porte divelte, la strada è un cumulo ininterrotto di immondizia da cui si sprigiona sempre del fumo denso e nauseabondo, all’angolo Gennaro Mezzarecchia spaccia ogni tipo di stupefacente e nell’edificio hanno trovato dimora una serie di prostitute efficientemente gestite da Gigino Mazzacorta che sembra aver fatto un accordo con Mezzarecchia.
–L’aggiusteranno – aveva pensato Gennaro Esposito quando aveva visto la prima finestra rotta. –L’avessi aggiustata io! – pensa ora nel vedere cosa è successo per quel misero ed insignificante gesto.”

Ecco che da un piccolo gesto, compiuto da un singolo individuo, si scatena una serie interminabile di eventi che porta al degrado e all’isolamento. Ecco che sono proprio i piccoli gesti a consentire la comune e civile convivenza.[…].

Sarebbe un’azione lenta, che colpisce la città dalla radice, certo non ci ammazzi la camorra ma di sicuro la rendi meno forte. Credo che sarebbe la strada giusta per risvegliare l’ombra del Vesuvio… la nostra amata Napoli.

2 pensieri su “Il lento risollevarsi dell'ombra del vesuvio.

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