Le emissioni di gas serra della Termovalorizzazione (2).


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Nel primo contributo, ci siamo fermati all’analisi delle emissioni di gas serra a livello globale accennando alla rivoluzione (se proprio così la si vuol chiamare) introdotta dal protocollo di Kyoto. Una prima conclusione alla quale siamo giunti ci porta a dire che il protocollo, così come redatto, non ci porterà da nessuna parte. Sempre prendendo spunto dalla una relazione dell’Ing. Andrea Forni, vogliamo concludere il nostro discorso spostando l’attenzione sul contributo che la termovalorizzazione dei rifiuti apporta alle emissioni dei gas serra.

Incenerire i rifiuti è una pratica molto comune soprattutto nel nord Europa, basti pensare che il primo impianti costruito in Germania risale alla fine del 1800. Gli impianti di ultima generazione permettono di recuperare energia sia sottoforma di calore (di solito utilizzato nel Teleriscaldamento) e di elettricità (che può essere immessa nella rete elettrica). Uno dei punti di forza degli inceneritori è che permettono una considerevole riduzione del volume dei rifiuti, anche se questa riduzione è sempre accompagnata da una serie di effluenti sia gassosi che liquidi che vanno opportunamente trattati.

Alla metà degli anni settanta, una tonnellata di RSU produceva 280 KW di eneregia elettrica e 360 di energia termica, con un rendimento del 19% che permetteva un risparmio di 0,07 tep (tonnellate equivalenti di petrolio) di energia fossile. Gli impianti di ultima genererazione (WTE), permettono una produzione di energia elettrica e termica rispettivamente di 800 e 360 KW, con un rendimento del 31% ed un risparmio in termini di energia fossile di 0,17 tep.

Ovviamente, l’analisi appena fatta non è completa, perché alla riduzione delle emissioni per effetto della energia fossile risparmiata dobbiamo sommare le emissioni che si hanno dall’impianti di trattamento termico. Solo se questo bilancio è positivo possiamo affermare che questa tecnica è utile al 100%. Per poter fare due conti, senza entrare troppo nello specifico, facciamo una importante anche se discutibile considerazione.

l’anidride carbonica prodotta da questi impianti e derivante dalla frazione biologica di carbonio, non contribuisce all’effetto serra.

Le ragioni di una così forte affermazione vanno lette in un’analisi logica del problema e delle sue origini. Se facciamo un’analisi elementare del rifiuti, possiamo suddividere la frazione di carbonio in due famiglie: quella di origine biologica (contenuta nelle piante, nei fiori, nei tessuti ecc.) e quella di origine fossile (contenuta nelle plastiche, nella gomma, nelle resine, ecc.). Quando bruciano, entrambe le famiglie vengono ossidate producendo la famigerata anidride carbonica, ma la parte di carbonio appartenente alla famiglia biologica, che viene prodotta naturalmente per effetto della sintesi colofilliana, tornerebbe comunque sottoforma di CO2 tramite i processi di degradazione che la natura stessa è capace di fare. Quindi, gli apporti di CO2 di questa famiglia non viene considerata nel calcolo delle emissioni di CO2 equivalente. Considerazione discutibile ma riconosciuta dalla comunità scientifica. In definitiva, per il calcolo delle emissioni di CO2, derivanti dalla conbustione dei rifiuti, si prende in considerazione solo la parte di carbonio che ha origini fossili.

Fatta questa importante premessa, possiamo affermare che:

(1) t CO2 emesse = t C elementare 3,667 (per capirlo basta fare 12 /44);

La letteratura è solita assegnare un rapporto di 1/3 tra carbonio fossile e carbonio totale, per cui si ha che:

(2) t CO2 da rifiuti = 1/3 t CO2 emesse;

Per avere un bilancio corretto dobbiamo considerare anche le emissioni di metano utilizzato per far funzionare l’impianto:

(3) t CO2 metano = PCH4 Fe Fossi, dove:
PCH4 è la portata di metano bruciata;
Fe è il fattore di emissione, pari a 1,966 t CO2 / 1000 Stm3;
Fossi il fattore di ossidazione, pari a 0,995;

Vediamo di calcolare la quantità di CO2 che non si è prodotta grazie alla produzione di energia elettrica che l’impianto ci consente di ottenere. In pratica calcoliamo la quantità di CO2 che non viene emessa perché viene risparmiata una parte dell’energia fossile che di norma si utilizza.

(4) t CO2 non emessa = Eel prodotta Fe;

Dai dati che ci fornisce l’Enel si ha che:

(5) Fe = 500 kgCO2 / MWhel;

Lo stesso vale per l’energia termica:

(6) t CO2 non emessa = Eter prodotta Fe,caldaie;

Fatte queste considerazioni analitiche, i dati che ci fornisce la relazione dell’Ing. Forni sono eloquenti  e sicuramente a vantaggio degli impianti di incenerimento. Infatti, nella relazione si legge che nella metà degli anni settanta, dalla comustione di 1 t di RSU l’impianto di incenerimento produceva 150 kg di CO2eq in pù dei tradizionali sistemi. Con gli impianti di ultima generazione (WTE), invece, il segno è completamente invertito, l’incenerimento di 1 t di RSU produce 110 kg in meno di CO2eq rispetto agli impianti tradizionali.

Le conclusioni sono anch’esse discutibili ma, se confermate dai numeri, fanno davvero riflettere.

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