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Un Decreto del Ministero dell'Ambiente detta le linee guida per individuare le migliori tecnologie nel trattamento dei rifiuti.

Il Ministero dell’Ambiente ha emanato un decreto che detta le linee guida per l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili in materia di gestione dei rifiuti, per le attività elencate nell’allegato I del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59.

Nel Supplemento Ordinario della Gazzetta Ufficiale n. 130 del 07/06/2007 sono state pubblicate le Linee guida recanti i criteri specifici per l’individuazione e l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili in materia di gestione dei rifiuti. Le linee guida, in vigore dal 08/06/2007, si riferiscono in particolare alle seguenti categorie impiantistiche:
Impianti per l’eliminazione o il recupero di rifiuti pericolosi;
Impianti di incenerimento dei rifiuti urbani, compresi quelli con capacità superiore a 3 t/h;
Impianti per l’eliminazione dei rifiuti non pericolosi con capacità superiore a 50 t/g.

Fote: Gazzetta Ufficiale

Scarica il Decreto del Ministero.

"Le vie infinite dei rifiuti" fa tappa alla Feltrinelli di Napoli.

Dal Blog di Alessandro Iacuelli: 

Venerdì 15 giugno ore 18.00, presso la Libreria Feltrinelli di Napoli, via S. Tommaso D’Aquino 70/76, si presenta il libro “Le vie infinite dei rifiuti”.
Inutile ovviamente dire qui di che libro si tratta, perchè oramai lo sapete bene.
¼br> Qui c’è la mappa se qualcuno non è pratico del centro di Napoli, ma non credo.
Ne discutono:
Francesco BassiniFraba – un blogger attento ai problemi della città.
Antonio Risi – urbanista, esperto di questioni ambientali.
Sabina Laddaga – Rete campana salute e ambiente.
Alessandro Iacuelli – che ve lo dico a ffa’.
Marco Rossi Doria – Associazione Decidiamo Insieme.
Massimo Mendia – Operatore del settore.

(Già so chi sono i due relatori che litigheranno tra di loro)
L’invito a partecipare è stato esteso anche ad altre persone, ma siamo ancora in attesa di conferme.
Personalmente, mi auguro che l’invito sia accettato da Luca Rossomando, di cui ho già parlato nel mio vecchio post sulla voragine di Secondigliano.
Naturalmente, per quanto riguarda gli altri partecipanti, seguiranno aggiornamenti.
Cari napoletani e non, veniteci. Qui c’è anche la locandina (in PDF).

Tratto da "le mille e più avventure che avvengono nella città partenopea…"

Un amico mi ha segnalato questo “scritto”, io l’ho trovato davvero geniale. È firmato Adriano Cozzolino, non lo conosco, ma dopo aver letto questo suo racconto vorrei tanto compensare questa mia grave mancanza.

Non so bene se sia stato sogno o realtà, so soltanto che la giornata di ieri ha rappresentato per me ciò che -credo- per un famoso Sommo Poeta antico sia stata presumibilmente la sua discesa agli inferi.
Voglio cominciare queta storia vera con la frase di un film: “la strada è entrata in casa”.
Ebbene mai frase è stata pù appropriata per descrivere ciò che di fatto è successo a metà pomeriggio di ieri nel paese in cui vivo, Arzano.
Un rombo assordante è esploso d’improvviso squarciando il silenzio della domenica ed io, spaventato, mi sono precipitato sul balcone di casa, assistendo ad una scena che era un misto tra assurdo e paradossale: due giovani ballavano su un pullman circondati da circa duecento persone che urlavano frasi perlopù incomprensibili, a loro volta circondati da un numero impressionante di moto e motorini praticamente impazziti che sfrecciavano suonando il clacson per finire la loro corsa o contro altre auto e moto o nel cuore della folla urlante.
Vista quindi la piega orgiastico-falloforico-sovversiva che stava prendendo il festeggiamento decido di chiudermi in casa ad aspettare la morte finchè un amico -Virgilio- mi citofona e mi invita a scendere per unirmi ai bagordi. Dopo un tentativo anche abbastanza deciso di resistenza vengo di peso trascinato nell’auto.
E duqnue lo incontrai: “or sei tu quel Virgilio e quella fonte che spandi di parlar largo fiume? rispuosi io lui con vergognosa fronte.”
e Lui, ineffabile e saggio, rispose: “Ja strunz saglie”

Prima tappa: Fuorigrotta.
Arriviamo dopo circa mezz’ora causa traffico (ma questa non è una novità). Mi viene spiegato che Fuorigrotta rappresenta in pratica la mecca, il tempio, la chiesa, la moschea, il muro del pianto, la casa bianca per tutti o quasi i partenopei colpiti da febbre tifoidea -forse, ho pensato, andranno lì per curarsi-. Ci addentriamo quindi nei meandri del quartiere collinare accompagnati costantemente da immagini simili a scenari post-bellici, con cassonetti dati alle fiamme, centinaia e centinaia di oggetti sparsi al suolo e il famigerato tempio eretto come il pù rigoglioso dei membri virili nel cuore nevralgico della zona descritta, il quale sulla sua sommità recava incise tali parole:
“Per me si va nella città dolente, per me si va nell’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente”.
Mentre quindi eravamo immersi in alti pensieri e in apocalittiche visioni un’inquietante monito ci arrivò da un tanto solitario quanto scosso abitante di quell’inferno: scappate o vi distruggono la macchina
In un primo momento non comprendiamo quello che stava succedendo. Un’istante dopo il terrore ci assale: un nugulo di uomini di età indistinta e tutti rigorosamente mezzi nudi si aggrappano al portapacchi di una statio-wagon che in tutta fretta fa retromarcia uccidendone un paio e scappando -so che in genere è un uomo che tenta di scappare se inseguito da un’auto ma lì era imperante la legge del contrappasso- a gran velocità in uno spiazzale per poi perdersi in quell’ orizzonte post-bellico.
Il gruppo di siouxes allora allarmato per la perdita della preda e inferocito per l’onta subita decide di assaltare quello che è il bottino pù ambito, l’elefante della strada: un pullman che si trovava a passare di lì.
Lo circondano,l’annusano,cominciano a tirare pietre per indebolirlo. La tensione cresce fino a che cinque o sei del branco particolarmente feroci non decidono di arrampicarcisi sopra e decretare la loro supremazia. Dell’autista non si sa la fine, i pù pensano che sia stato sbranato o che sia stato impalato e portato in trionfo.
Ma torniamo a noi. Il nostro Caronte, spaventato per le già precarie condizioni della sua auto, decide in tutta fretta di fare retromarcia e scappare per una via meno conosciuta e sottrarsi quindi al branco inferocito.
L’unica via percorribile era quella che ci portava al mare, ma non sapevamo ancora che quella sarebbe stata la tappa pù difficile.

Seconda tappa: Mergellina.
“Così l’animo mio, ch’ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo, che non lasciò già mai persona viva”.
Scossi, prostrati e spaventati usciamo quindi dal primo girone.
Ci dirigiamo verso piedigrotta, zona nota per il famoso festival di canzoncelle napoletane. Pensavo di trovarvi pace e ristoro, ma ancora una volta mi sbagliavo.
Allora “m’apparecchiai a sostener la guerra sì del cammino e sì della pietate, che ritrarrà la mente che non erra. O muse, o alto ingegno, or m’aiutate: o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, qui si parrà la tua nobilitate”.
E proprio in tema di nobiltà avvenne il primo incontro: una tredicenne pù o meno dalle fattezze balenifere ci ferma e comincia a gorgheggiare.
Allora io chiedo all’esimio Virgilio cosa quella madamigiana volesse, e lui mi rispose: “Ascolta bene e non farti ingannare”.
Impegnato tesi l’orecchio e ascoltai “Gurghoeaoakaa, sfulnrtraojasdopj, buarpp” … era ancora difficile, ma con la forza d’animo trasmessami da Virgilio finalmente capii: “Guagliuo tenit na’ cann?”
Infine era una canna che voleva, ma noi che non disdegnamo la dolce marja a quel tempo ne eravamo spovvisti, e dovemmo quindi sfuggire all’ira funesta dell’erinni che ci inseguiva assieme ai rotoli in bella mostra che la costeggiavano e ballonzolavano contenti.
Contuinuammo, quindi.
Il traffico era come palude. Immobili, attendevamo trepidanti le mosse della pupulaziona partenopeica la quale non smetteva mai di stupirci: milioni e milioni erano gli autoctoni riversatisi per la strada, tutti stringendo bandiere e urlando le frasi che antecedono la battaglia. Migliaia i motorini con a bordo numeri imprecisati di passeggieri, anch’essi sputandoci frasi gutturali di chissà quale idioma.
Promiscquamente si stringevano uomini e donne eccitando i loro sensi alla vista della carne e accoppiandosi in ogni anfratto come simpatici ricci.
Sparite le regole, capovolti gli ordini, sovvertito il Diritto: ecco il contrappasso che Virgilio mi aveva vagheggiato.
Ma mentre ci perdevamo in pensieri legati allo Stato e alla follia di quelle genti, incontrammo una feroce immagine:
“Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra sopra la gente che quivi è sommersa”. Il sentimento provato dal Sommo Poeta può in qualche modo rimandare a quello non meno stuoefacente che provai io.
Davanti ai nostri occhi infatti – sopraelevati dal suolo- un gruppo di persone latravano come il Cerbero su descritto e si univano tra loro nudi, tenuti saldi soltanto dal loro sudore. Il grande camion che li teneva assieme come “aristoi” separandoli dalla folla in tripudio emetteva acutissimi stridori e cacciava denso fumo nero che ammantava di mistero e tumore quell’idillio. Donne strabordanti testimonianza vivente della dieta mediterranea si ergevano come matrone e dispensavano latte dalle enormi mammelle, uomini primitivi mettevano in bella mostra i petti unti e depilati ma non per questo meno maschi, anzi maschi al punto tale che nell’aria si percepiva la forza di quell’ orgasmo universale e dello sperma che abbondante veniva esploso da enormi membri eretti.
Storditi da quella promiscquità e dal sesso dispensato come ostia consacrata, fuggimmo.

Terza tappa: viaggio di ritorno.
Rotonda Diaz, via Partenpe, via Caracciolo, molo Beverello, Maschio Angioino, Via Foria, Piazza Carlo III… queste alcune tappe del viaggio di ritorno. E tra disagi e difficoltà, nello sconforto gli dissi: “Ma io perchè venirvi? o chi ‘l concede? Io non Enea, non Paulo sono: me degno a ciò nè io nè altri crede”.Ma la divina ombra mantovana: “S’i ho ben la tua parola intesa, rispuose del magnanimo quell’ombra, l’anima tua è da viltate offesa; la qual molte fiate l’omo ingombra, si che d’onorata impresa lo rivolve, come falso veder bestia quand’ombra”.
E furon proprio queste parole a darmi la spinta necessaria per continuare in quel girone tanto duro quanto difficile a sostenersi per la mia vista prostrata.
Lasciato quindi Virgilio a Piazza Carlo III dov’egli tutt’oggi dimora e decisi assieme a Caronte di scegliere la strada meno sgombra di mortali pericoli.
Decidemmo allora per Calata Capodichino, che nonostante bruciasse ancora come bruciava la Roma di Nerone ci sembrava da percorrere meno ardua rispetto ad altri siti.
E, col cuore colmo di speranza che il supplizzio stesse per finire uscimmo fisicamente sani dal Ventre di Napoli (la signora Serao mi scuserà per questa ardua definizione). Insomma, come dire… ” salimmo su, el primo ed io secondo, tanto ch’io vidi delle cose belle che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo; e uscimmo a riveder le stelle”.
Salivamo quindi verso l’alto, verso quel territorio che speravamo fosse rimasto esente da scontri e riti orgiastici.
Le strade stesse ci sembravano meno danneggiate, i drappeggi pù radi, neno fitti che nel resto della città dolente. Esseri dalle sembianze semi-umane ci venivano incontro ma questa volta non cercavano di attaccarci o ucciderci, volevano semplicemente manifestare -in modo primitivo s’intende- la loro strana goia…
Non sapevo che ora era, sapevo soltanto che da qualche tempo era calata la notte, forse era addirittura il nuovo giorno. Anzi, Caronte mi disse che era proprio passata la mezza notte quando avvenne il miracolo.
Ora la mano mi trema, le parole si strozzano in gola. Non riesco ad esprimere ciò che vidi, poichè la Ultima e Altissima Visione mi tolse letteralmente il fiato, mi attanagliò il cuore, mi gelò il sangue nelle vene. Il mio amico fidato Caronte piangeva dalla gioia e assunse posa simile ai musulmani in preghiera, pregando per il sommo Dio Calcio, divinità che riconobbi per la prima volta lì, presso l’aeroporto che collegava Calciopoli in Campania con il resto del mondo.
Apoteosi struggente, immensa bellezza che acceca e lascia senza fiato: ecco l’estasi che provarono gli abitanti della strana città alla visione divina che rubò loro l’anima.
I miei occhi, anche se per un breve secondo, riuscirono a penetrare il fascio di luce che ammantava ciò che oggi è sacra reliquia: il City Site Seeing, prescelto dalla infinita saggezza del club uscito vincitore dalla tenzone e decretato dagli stessi fedeli adoranti il pù grande al mondo.
Ora, se avete ancora la pazienza di seguire questo mio racconto, voglio infine dire a voi tutti ciò che vidi su quel mirabile pullman turistico, con tutti i sensi storditi e in deliquio:
Al centro vi era Dio, assiso magnificente sul regale trono, che alcuni chiamavano “De Laurentiis”, alla sua sinistra lo Spirito Santo, che altri chiamavano il sommo “Pier Paolo Marino” e infine alla sua destra Jesù Cristo, meglio conosciuto come il tantrico “Emanuele Calaiò”; tutti e tre circondati da Santi anch’essi dispensando gloria sulla terra e a Capodichino in particolare.
Ora soltanto il Sommo Poeta può dirVi cosa noi provammo a veder cotanta immagine divina:
“Qual’è geometra che tutto s’affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando quel principio ond’ello ondige, tal era io a quella vista nova: veder volea come si convenne l’mago al cerchio e come si indova; ma non eran da ciò le proprio penne: se non che la mia mente fu percorsa da un fulgore in che sua voglia venne. All’alta fantasia qui mancò possa; ma già volgea il mio disio e ‘l velle, sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e le altre stelle”.
E poi nulla pù vidi, caddi svenuto in un profondo sonno dal quale mi ridesto soltanto ora.
Adriano Cozzolino

(ah mi sono anche accorto di essere incinto)

RDF: processi di produzione e classificazione.

La gestione di un impianto di termovalorizzazione è complessa soprattutto nella fase di selezione del rifiuto da bruciare e di ottimizzazione del processo di combustione. Questo, principalmente perché il rifiuto è fortemente disomogeneo e spesso poco adatto alla combustione. Per risolvere questi problemi i rifiuti possono essere trattati in modo da conferire ad essi proprietà in linea con le esigenze della combustione. Ciò porta alla formazione di RDF (refuse derived fuel, o CDR combustibile deriveto da rifiuti).

Per ottenere RDF si parte dal RSU, che viene trattato con processi di selezione e separazione di tipo fisico-meccanico:

  • triturazione;
  • vagliatura;
  • separazione magnetica;
  • separazione aerodinamica;

Ciò permette il recupero della frazione organica, che in seguito a stabilizzazione diventa FOS (frazione organica stabilizzata), inoltre si ha il recupero del ferro, dello stagno, del vetro, della plastica e dell’alluminio.

Il processo che permette la produzione di RDF è articolato prevede che, in seguito allo sversamento del rifiuto in una fossa di accumulo (con volume pari ad un giorno di stoccagio), tramite una benna idraulica si alimenta l’impianto di trattamento. La prima linea che si incontra è la rompisacchi automatica: è un cilindro che ruota all’interno di una parete a pettine che rompe i sacchetti dei RSU, si ha anche una riduzione della pezzatura e, tramite un sensore di sforzo, l’eliminazione di oggetti di grosse dimensioni. Il materiale che fuoriesce del rompisacchi ha una pezzatura abbastanza omogenea e viene inviato al vagliatore rotante autopulente: è un doppio cilindro inclinato a rotazione opposta di diametro di 2-3m con maglia di 10-15cm. Quest’apparecchiatura produce un sottovaglio di pezzatura omogenea ad alto contenuto organico, questo sottovaglio sarà soggetto a separazione magnetica e va depurato da pile e batterie per essere inviato alla stabilizzazione o all’impianto di compostaggio. Oltre al sottovaglio organico, la vagliatura produce un sottovaglio di pezzatura pù grande che viene anchesso deferrizzato su nastro magnetico e successivamente viene sottoposto alla classificazione aerodinamica: è un impianto che sfrutta il differente peso specifico dei diversi componenti, separa il leggero (carta, stracci, ecc.) dal pesante (inerti, vetri, metalli non ferrosi, ecc.). Il leggero viene inviato alla fase di triturazione differenziale: permette la tranciatura di carta ma non della plastica in modo che una successiva fase di separazione permetta di dividere la plastica dalla carta. Tutto il materiale non riciclabile e gli scarti vengono inviati in discarica.

La parte dei rifiuti a pù elevato potere combustibile (carta, cartoni, tessili, legno, platica, ecc.) ha un basso peso specifico (30-60 kg/m³). Per consentire il trasporto e lo stoccaggio si una una fase di riduzione delle dimensioni ed una fase di addensamento. Per far ciò si una un ciclo a basso consumo energetico:

  • triturazione si ha la riduzione delle dimensioni che porta alla produzione di “fluff“;
  • compattazione in modo da aumentare il peso specifico che porta alla produzione di “pellets”;
  • essiccazione in modo da avere un prodotto finale stabile e consistente.

Alla fine si ha un RDF con potere calorifico di 3500-5000 kcal/kg composto da carta, plastica, tessili, legno e inerti con pezzatura tra i 30-40mm e densità di 350-400 kg/m³

Curiosità: il termite RDF è stato coniato nel 1973 da Collins per una categoria della classe generica di WDF (waste dericed fuels).

L’ASTM (american society for testing and materials) ha stilato una classificazione dell’RDF:

  • RDF-1: rifiuto tal quale usato come combustibile;
  • RDF-2: rifiuto soggetto a trito-vagliatura (con o senza separazione magnetica);
  • RDF-3: combustibile da RSU triturato e trattato per rimuovere metalli, vetro e altri materiali inorganici (con dimensioni < 50mm per il 95% in peso);
  • RDF-4: combustibile da RSU trattao e ridotto in forma di polvere con dimensioni < 2mm per il 95%in peso;
  • RDF-5: combustibile da RSU addensato in forma di pellets, pezzi tondeggianti, cobetti e bricchette. Detto anche d-RDF;
  • RDF-6: combustibile da RSU trattato fino ad ottenere un combustibile liquido;
  • RDF-7: combustibile da RSU trattato fino ad ottenere un combustibile in forma gassosa;

I pù utilizzato sono l’RDF-3, RDF-4, RDF-5.

La normativa (facciamo riferimento al DMA 11-1-95) in relazione alle caratteristiche che deve avere l’RDF dice:

sia pttenuto da rifiuti solidi urbani e/o assimilabili, ad esclusione dei rifiuti tossici e nocivi e dei rifiuti ospedalieri, attraverso la raccolta differenziata e/o cicli di lavorazione che ne aumentano il potere calorifico, riducano la presenza di materiale metallizo, vetri, inerti, materiale organico putrescibile, contenuto di umidità e di inquinanti, entr i limiti riportati dalla tabella seguente e purché sia certificata la temperatura di rammollimento delle ceneri per ciascuna partita.

  • umidità: max 25%;
  • PCI sul tal quale: 12500 kJ/kg;
  • ceneri sul tal quale: max 20%;
  • Cl: max 0.7%;
  • S: max 0.5%;
  • Pb, sul secco in peso: max 200 mg/kg;
  • Cr: max 50 mg/kg;
  • Cu: max 150 mg/kg;
  • Mn: max 150 mg/kg;
  • Zn: max 500 mg/kg;
  • Ni: max 20 mg/kg;
  • As: max 10 mg/kg;
  • Cd+Hg: max 10 mg/kg;
  • Pb+Cr+Mn+Zn: max 900mg/kg;

La mia tesi, capitolo terzo: indagine sperimentale.

Quando si sceglie di fare una tesi che prevede la realizzazione di una serie di prove non può mancare la fase preventiva alle stesse: l’analisi  sperimentale. Le prove, nel mio caso specifico, sono state fatte in un contesto molto particolare che ha bisogno di un’accurata caratterizzazione.

Gli elementi essenziali della fase di sperimentazione sono stati: il carbone attivo, che è la matrice all’interno della quale si sono attivati tutti i processi tipici dell’asdsorbimento; le caratteristiche della soluzione da sperimentare (pH, T, concentrazioni, ecc). Per il carbone attivo è stato analizzato sia l’aspetto fisico che chimico, mentre dal punto di vista delle caratteristiche della sperimentazioni mi sono spinto a definire i range di pH e T all’interno del quale far vivere le soluzioni e a definire lo schema del reattore dove sarebbero state effettuate le prove.

Infine, si mostrano, senza particolari osservazioni, i risultati sperimentali, nello specifico le cosiddette “curve di breakthrough”.

Leggi in terzo capitolo.

Combustione, Incenerimento, Termovalorizzazione o Termodistruzione? Facciamo chiarezza.

È ormai consuetudine definire “incenerimento” il trattamento termico dei rifiuti, ma non sempre si può essere così approssimati nel definire un processo così articolato. Dal punto di vista puramente scientifico, per “combustione” e per “incenerimento” si indicano processi di rapida ossidazione di sostanze combustibili, spesso vengono usati indifferentemente ma è bene fare alcune precisazioni [Arena, 1992, Allegretti et al., 1995].

Combustione: processo che mira all’utilizzazione di combustibile, fossile o derivato da residui, con l’obbiettivo della massima produzione di vapore o potenza. In pratica ci si preoccupa di ottenere il massimo rendimento in termini di efficienza termica (CE, vedi D.M.A. 11/05/95):

CE (%) = 100 · Fco2 / (Fco + Fco2)

dove:
Fco2 = Concentrazione di anidride carbonica nei fumi;
Fco = Concentrazione di monossido di carbonio nei fumi;

Incenerimento: è il termine che rappresenta nello specifico lo smaltimento dei rifiuti e  mira alla distruzione termica della loro frazione organica. L’obbiettivo del trattamento è la riduzione della massa e del volume totali del rifiuto e, soprattutto, la conversione dei costituienti pù pericolosi. Con il tempo, questo termina sta perdendo sempre pù significato a favore di due nuove terminologie:

  1. Termodistruzione, che ha come unico obbiettivo la distruzione del rifiuto, ad esempio se molto pericoloso. Di norma avviene in forni rotativi;
  2. Termovalorizzazione, che ha in pratica gli stessi obbiettivi che prima abbiamo definito per l’incenerimento.

Tale distinzione in termini di nomenclatura verrà chiarita in seguito, per ora antcipiamo che in un impianto il rifiuto non viene incenerito, semplicemente perché le ceneri entrano ed escono senza subire particolari processi.

In un processo di termovalorizzazione ci si preoccupa di ottenere la massima efficienza di distruzione e rimozione (DRE), per ogni componente organico pericoloso (POHC):

DRE(%) = 100 · (Fwi – Fwe) / Fwi [= 99,99%]

dove:
Fwi = portata del componente POHC in ingresso;
Fwe = portata del componente POHC in uscita;

La normativa vigente in materia di rifiuti (D.L. 152/2006 parte IV) definisce il rifiuto come: qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi. Il decreto definisce anche una serie di sostanze spesso figlie del rifiuto o comunque ad esso collegare come la materia prima secondaria che sembra un gioco di parole ma che invece ha un significato ben preciso (definito dall’articolo 181). La materia prima secondaria o Mps, è frutto del processo di riciclaggio dei rifiuti con il recupero di materiale che può essere assimilato a materia prima (ad esempio l’Mps di polietilene). Oltre all’Mps, nel DL 152/2006 è definito anche il combustibile derivato dai rifiuti o CDR: combustibile classificabile, sulla base delle norme UNI 9903-1 e successive modifiche ed integrazioni, come RDF (refuse deridev fuel – combustibile derivato da ridiuti) di qualità normale che è recuperato dai rifiuti urbani e speciali non pericolosi mediante trattamenti finalizzati a garantire un potere calorifico adeguato al suo utilizzo, nonché a ridurre e controllare:

  1. il rischio ambientale e sanitario;
  2. la presenza di materiale metallico, vetri, inerti, materiale putrescibile ed il contenuto d’acqua;
  3. la presenza di sostanze pericolose ai fini della combustione;

Completiamo il quadro delle definizioni accennando al combustibile da ridiuti di elevata qualità o CDR-Q.

Per i RSU, il processo di trattamento termico è la termovalorizzazione, per il CDR, visto che non si tratta pù di rifiuto ma di residuo combustibile, il processo termico non è pù la termodistruzione ma è un semplice ciclo di combustione volto al recupero di energia.

L'"Oasi Naturalistica" di Cava Riconta.

Domenica scorsa (27 Maggio) c’è stata un’assemblea fuori i cancelli dell’ormai “chiusa” discarica di Villaricca: Cava Riconta. InBlog, InAmbienTe ed InterNapoli erano presenti ed abbiamo assistito a quella che può essere definita una tragedia classica napoletana.

Assemblea Striscione 1strisione 2

Striscione 3 Strizione 4

L’assemblea, voluta dai gruppi di Attac e @cat, alla quale hanno partecipato anche i sindaci di Qualiano, Villaricca e Giugliano ed il Senatore Nello Palumbo, poteva portare aria buona tra i miasmi ormai spenti di Cava Riconta, ma grazie alla miopia ed all’inettitudine di pochi scellerati stava per trasformarsi in una mega rissa senza precedenti. Infatti, a pochi minuti dall’inizio, quando la parola è stata passata ai sindaci e al senatore, il “comitato civico” di Villaricca 2 (capeggiato da un esponente politico canditato all’opposizione…), invece di ascoltare e di cercare un punto di incontro ha cominciato a “disturbare” l’assemblea con slogan e cori contro le istituzioni.

Sindaco Insulti al sindaco

Ma è stato quando il sindaco di Qualiano, Pasquale Galdiero, ha preso la parola che si è arrivati al peggio. Galdiero ha accusato il comitato civico Villaricca 2 di aver stretto un accordo con il Commissario di Governo, il quale (ci sono i documenti su InterNapoli), si è impegnato a finanziare un progetto di “riqualificazione” nella zona dell'”oasi di nostra signora della speranza” in cambio del silenzio. Il comitato, forse colpito nell’orgoglio, ha cominciato ad inveire pesantemente contro il sindaco, il quale ha dovuto abbandonare l’assemblea per evitare il peggio.

Prima che tutto cominciasse, ci siamo addentrati furtivamente in un sentiero che porta alle spalle della cava e quello che abbiamo trovato ci ha colpiti: tanta natura, tanto degrado, discariche di amianto abusive, fossati pronti per l’uso ed in parte già usati per sversare copertoni abusivamente…

Insomma, le vie sono infite (come ci dice il nostro amico Alessandro Iacuelli) ma l’unica che può portare ad una soluzione è la “via del dialogo”. Speriamo che i tanti comitati lo capiscano presto.

Aspetti normativi ed operativi nella realizzazione di un impianto di termovalorizzazione, seconda parte.

Nel precedente post (Aspetti normativi ed operativi nella realizzazione di un impianto di termovalorizzazione, prima parte.) ho introdotto, molto sommariamente, alcune pratiche nessarie sia alla realizzazione di un Impianto di Termovalorizzazione, sia alla gestione dello stesso. Ho pù volte posto l’accento su quelle che sono le attività di monitoraggio per consentire al gestore dell’impianto di capire se la sua creatura sta lavorando bene o sta lavorando male. Cerchiamo di entrare pù nel dettaglio e di comprendere i meccanismi che regolano il monitoraggio.

In recente Decreto Legislativo, il DL 11/05/2005 N° 133, si regolamenta la pratica dell'”incenerimento dei rifiuti” definendo alcuni parametri essernziali. Tale DL recepisce la direttiva CEE 2000/76/CE e regolamenta tutti gli impianti che inceneriscono i rifiuti (nuovi o precedenti) e i cementifici, fissando dei limiti in termini di concentrazioni per una serie rilevante di specie inquinanti. Inoltre, specifica che gli impianti esistenti devono adeguarsi alla nuova legge.

Nell’Allegato 1-A si fissano i limiti degli inquinanti, tra i quali troviamo alcuni metalli pesanti  molto pericolosi (la campionatura deve avvenire per periodi non inferiori ad 1ora e ci si riferisce a concentrazioni medie) come il Cd (Cadmio, al limite 0.05 mg/mc), il Hg (Mercurio, al limite 0.05 mg/mc), Cr (Cromo, al limite 0.5 mg/mc). È imposto un limite anche a PCDD + PCDF (Diossine + Furani, con periodo di campionatura di 8ore, al limite 1ng/mc) . Nell’Allegato 1-B si fissano i limiti degli inquinanti nella corrente liquida in uscita dalle fasi di trattamento dell’effluente gassoso inquinato.

Il DL fissa anche il metodo da adottare per le campionature, sono previste campionature in continuo per CO, polveri totali, NOx, Temperatura ed Ossigeno nella camera di combusione; sono invece previste almeno 3 misurazioni all’anno per i metalli pesanti, le diossine-furani, e gli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici).

Certificazioni delle misurazioni. Ovviamente, non basta effettuare le misurazioni con la cadenza temporale prevista dal DL, ma queste devono anche essere certificate da enti nazionali o esteri. Per ottenere la certificazione bisogna rispettare tutta una serie di pratiche per rendere la misurazione esente da errori o manipolazioni. Nella norma UNI EN 14181: 2005 sono definite tutte le pratiche utili ad ottenere corretti Sistemi di Monitoraggio delle Emissioni (SME).

Procedure per ottenera la certificazione di SME. La norma Uni EN 14181: 2005 descrive quattro procedure da seguire per poter ottenere dell misurazioni ottimali:

  1. QAL 1: prevede la verifica dell’efficienza degli strumenti di misurazione a monte dell’installazione dell’SME tramite la misura di parametri come l’incertezza.
  2. QAL 2: prevede il controllo della corretta installazione e la taratura periodica degli impianti tramite un apparecchiatura di riferimento.
  3. QAL 3: verifica che il sistema SME sia funzionante nel tempo, verificando che siano rispettate le caratteristiche relative al QAL 2.
  4. AST: è un test di sorveglianza annuale per verificare le prestazioni ed il funzionamento dello SME e la taratura.

Concludendo. È possibile dare risposta alle popolazioni che voglio conoscere il loro grado di esposizione agli inquiananti provenienti da impianti di incenerimento limitrofi grazie a pratiche di monitoraggio e misurazione costanti e certificate. Per consentire all’opera di poter funzionare senza interruzioni è opportuno che si progetti una efficace rete di monitoraggio su tutto il territorio interessato dalle emissioni dell’impianto, questa pratica è anche l’ultimo tassello della valutazione di impatto ambientale, perché permette di verificare che le emissioni sono effettivamente quelle preventivate.

Il lento risollevarsi dell'ombra del vesuvio.

Un paio di giorni fa, o forse uno, ho letto un articolo su un post che trattava della pessima situazione che vive Napoli in questo periodo (io direi da quando mi ricordo di ricordare). Nell’articolo, che non ho condiviso, si faceva apertamente e ripetutamente riferimento all’invio dell’esercito a Napoli, affermando che solo con un’azione repressiva nei confronti dei delinquenti e della popolazione che li protegge, si può arrivare a creare un sistema all’interno del quale il buon cittadino possa mostrare la testa e farsi sentire.

Seguire questa strada sarebbe come dimenticare la storia. Ci sono state numerose politiche repressive, basti fare una ricerca su google per trovare riferimenti storici a decine, e tutte con un fine comune: il fallimento. Un popolo, soprattutto quello napoletano, che ha radicato nei propri usi e nel proprio sistema sociale una forma di anarchia e di non appartenenza allo stato (tanto niscune se ne fotte!!), può essere indotto a ricredersi solo se gli si dimostra il contrario (a nuje nce ne fotte… e come!!).

Io sono napoletano, ci sono nato a Napoli, sono andato a scuola Napoli (prima al Geometra di Via Foria e poi all’università di Fuori Grotta) e se non avessi avuto un’educazione semplice come solo due genitori figli della campagna come i miei sanno dare, sentirei forte l’assenza dello stato (in quanto stato). Per non tergiversare e per non appallare chi legge (almeno spero che lettori ce ne siano) vi riporto una storiella che ho scritto due anni fa su InterNapoli, storia che ha come spunto una geniale e semplice intuizione di due crimilogi americani: “la teoria della finestra rotta” e che credo possa essere lo spunto per una pù corretta impostazione del problema e della sua soluzione (se mai se ne avesse l’intenzione di cercarla!!).

“L’ormai noto Gennaro Esposito (soggetto già di altre mie storielle, è una “brava persona “. domdin), per andare a lavoro, fa un tratto di strada che costeggia un edificio di pubblica utilità con i mattoncini rossi, osserva sempre la fila ordinata di finestre che affacciano sulla strada e prosegue verso l’ufficio.
Gennaro Mezzarecchia (soggetto di altre mie storielle, è il delinquente di turno. domdin), la mattina non ha niente da fare perché non sempre c’è la possibilità di rapinare qualcuno e, un bel giorno, si ritrova ad osservare la bella fila di finestre dell’edificio pubblico con i mattincini rossi che il signor Esposito apprezza tanto. Si avvicina furtivamente ad una di queste finestre e senza una plausibile ragione ne rompe una. La quiete cala sulla città e la notte avvolge i nostri due amici.

La mattina dopo, Gennaro Esposito si appresta a costeggiare il palazzo di pubblica utilità dai mattoncini rossi e nota, con grande stupore, che una delle finestre è rotta. Rimane negativamente colpito ma prosegue, -l’aggiusteranno- pensa ingenuamente.
Poche ore dopo, l’acerrimo nemico del Mezzarecchia, Ginino Mazzacorta, nota che una delle finestre del palazzo di pubblica utilità con i mattoncini rossi è stata rotta. Si avvicina con passo felpato e ne rompe un’altra con un bel colpo assestato proprio nel mezzo. La quiete cala sulla città e la notte avvolge i nostri tre amici.

La mattina dopo per Gennaro Esposito è di nuovo un colpo. Raggiunto l’edificio di pubblica utilità con i mattoncini rossi si accorge che non solo la finestra rotta non è stata aggiustata ma che ne è stata rotta un’altra. –Che razza di città è questa!- pensa indignato il nostro onesto cittadino prima di proseguire verso l’ufficio.
Pochi minuti dopo, Gennaro Mazzacorta ha in mano la foto di una felice famigliola che ha appena trovato in un portafogli poco prima sfilato in un autobus di linea, la contempla per un secondo e la butta nel cassonetto dell’immondizia che costeggia il palazzo dai mattoncini rossi. Osserva con stupore che le finestre rotte sono due, fa un mezzo sorriso di soddisfazione e con un calcio al cassonetto ne rovescia il contenuto per la strada. –Tanto nisciuno dice niente!- pensa il nostro odiato delinquente.
A completare la giornata ci pensa il Mazzacorta che osserva le finestre ancora rotte e l’immondizia per la strada. Raccoglie dalla tasca un fiammifero, da’ fuoco ad un pezzetto di carta, lo butta sul cumulo di sacchetti della spazzatura e torna da dove è venuto. Alle sue spalle le fiamme prendono corpo in un riverbero di luci e calore, tra i sacchetti e le bottiglie di vetro mestamente brucia la foto di una ignara e felice famigliola.

La quiete cala sulla città e un acre odore avvolge il palazzo di pubblica utilità dai mattoncini rossi… Trascorre un mese.

L’onesto cittadino Gennaro Esposito non costeggia pù il palazzo di pubblica utilità, è stato costretto a cambiare percorso. Ormai nell’edificio dai mattoncini rossi regna il degrado: tutte le finestre sono state rotte, le porte divelte, la strada è un cumulo ininterrotto di immondizia da cui si sprigiona sempre del fumo denso e nauseabondo, all’angolo Gennaro Mezzarecchia spaccia ogni tipo di stupefacente e nell’edificio hanno trovato dimora una serie di prostitute efficientemente gestite da Gigino Mazzacorta che sembra aver fatto un accordo con Mezzarecchia.
–L’aggiusteranno – aveva pensato Gennaro Esposito quando aveva visto la prima finestra rotta. –L’avessi aggiustata io! – pensa ora nel vedere cosa è successo per quel misero ed insignificante gesto.”

Ecco che da un piccolo gesto, compiuto da un singolo individuo, si scatena una serie interminabile di eventi che porta al degrado e all’isolamento. Ecco che sono proprio i piccoli gesti a consentire la comune e civile convivenza.[…].

Sarebbe un’azione lenta, che colpisce la città dalla radice, certo non ci ammazzi la camorra ma di sicuro la rendi meno forte. Credo che sarebbe la strada giusta per risvegliare l’ombra del Vesuvio… la nostra amata Napoli.

Aspetti normativi ed operativi nella realizzazione di un impianto di termovalorizzazione, prima parte.

Alla base di una scelta forte, come quella della realizzazione di un impianto di termovalorizzazione, ci deve essere un’attenta analisi. Bisogna tener conto di una serie di realtà che possono condizionare il progetto e vanificarlo nei casi pù estremi. Tra i principali punti condizionanti ci sono le relazioni esistenti tra la salute umana e l’ambiente (principale preoccupazione della comunità pù prossima all’impianto), le conoscenze di chi dovrà operare a livello locale e i tempi di consapevolezza del rischio e quindi i tempi necessari a prendere una decisione certa e sicura. Come si può notare, questi aspetti non sono marginali e di poco conto e, per avere un metodo decisionale ideale ed oggettivamente giusto c’è bisogno di una chiara indicazione normativa che ci permetta di valutare quale sarà l’impatto ambientale dell’opera sotto tutti i punti di vista: comunità, operatori e decisori.

Ciminiera di un termovalorizzatore

In questo ci aiuta la normativa in materia ambientale, anche se in Italia c’è una forte confusione in merito. Infatti, lo strumento che avrebbe dovuto mettere ordine in questo senso (in Testo Unico, ovvero il DL 152/06) ha, di fatti, creato maggiore confusione. Comunque, le linee generali che la normativa prevede nel momento in cui si ha l’intenzione di realizzare un progetto come quello di un impianto di termovalorizzazione sono sostanzialmente:

  1. VAS: Valutazione Ambientale Strategica, che è un processo sistematico che valuta le conseguenze, sul piano ambientale, delle azioni proposte nell’ambito di iniziative nazionali, regionali o locali. L’obbiettivo è di considerare tutti gli aspetti formali sin dalle prime fasi (strategiche). La valutazione prevede anche consultazioni transfrontaliere nel caso in cui il progetto potrà avere conseguenze anche su paese terzi.
  2. VIA: Valutazione di Impatto Ambientale, che descrive gli effetti diretti ed indiretti di un progetto e delle sue principali alternative. Interessante aspetto della VIA è quello di considerare anche “l’alternativa zero”, cioè il caso in cui l’opera non viene realizzata. Gli effetti da valutare sono sull’uomo, sulla fauna, sul suolo, sulle acque di superficie e sotterranee, sull’aria, sul clima, sul paesaggio e sull’interazione tra detti fattori. Altri fattori importanti su cui valutare l’impatto sono i beni materiali, il patrimonio colturale, sociale ed ambientale.
  3. IPPC: Autorizzazione Integrata Ambientale, indica che l’azione deve essere incentrata su un approccio integrato per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento proveniente dai settori produttivi individuati in allegati alla normativa. Ci deve essere un coordinamento delle autorità sia in relazione alle autorizzazioni per la costruzione degli impianti, sia nel controllo delle emissioni nell’ambiente considerato come un “unicum” da proteggere.

Caratterizzazione ante-operam.

Alla luce delle considerazioni normative, è importante, prima di relizzare l’opera, avere una chiara visione della situazione ambientale della zona nella quale si inserirà l’impianto e sulla quale l’impianto avrà un impatto. Sarà opportuno fare uno screening del terrotorio ed analizzare la condizione ambientale di acqua, suolo ed aria.

Acqua. Si andrà ad analizzare lo stato dei corpi idrici superficiali misurando le caratteristiche fisico-chimiche: pH, T, durezza, conducibilità, ossigeno disciolto, Solidi Sospesi, COD, BOD, per poi passare ad una caratterizzazione in termini di qualità dei corpi idrici tramite dei bioindicatori. Per i corpi idrici sotterranei si procederà alla caratterizzazione delle falde ed alla loro potenziale potabilizzazione, inoltre si provvederà a monitorare le variazioni spaziali e temporali in un determinato intervallo di tempo. Altro fattore da monitorare riguarda l’azione antropica sui corpi idrici e la determinazione di tutti i composti che per effetto dell’attività umana sono presenti nelle acque: metalli pesanti, sali inorganici come cloruri e solfati, comporti organici come fenoli, PCDD (poli-cloro-dibenzo-diossani) e PCDF (poli-cloro-dibenzo-furani).

Suolo. come per l’acqua è necessario avere una chiara visione delle situazione geolitologica e geostrutturale del territorio nel quali insisterà l’impianto. Aspetto molto importante è la situazione idrogeologica del territorio soprattutto in termini di permeabilità e di circolazione delle acque nel sottosuolo, questo per verificare gli effetti di eventuali emissioni sottoforma di liquami. Altri aspetti riguardano l’uso sociale del territorio in termini di elementi e composti naturali presenti nel territorio utili alla comunità. Anche per il suolo si terrà conto dell’azione antropica esercitata.

Aria. Ci si riferisce al D.M. 261/02 che prevede una caratterizzazione della qualità dell’aria in relazione alle caratteristiche dell’impianto, la sua localizzazione geografica e le condizioni ambientali locali (vento, piovosità, eccetera). Per tener conto di ciò è necessario conoscere la climatologia della zona con dati meteorologici su base oraria, giornaliera, mensile ed annuale. È importante, quindi, conoscere i regimi termporali e spaziali delle precipitazioni e delle temperature, gli eventuali legami tra questi fattori e la circolazione atmosferica. Non in ultimo è importante valutare gli eventi intensi di precipitazioni e di vento ed il loto tempo medio di ritorno. In questo ci aiutano molto i sistemi GIS (Geographic Information Systems), che ci consentono di avere una chiara visione di tutte le caratteristiche del territorio.

Caratterizzazione post-operam.

In seguito alla realizzazione dell’opera è importantissimo monitorare l’ambiente in modo da verificare se gli effetti reali siano in linea con quanto previsto, fase terminale della VIA. Si dovranno monitorare: l’aria, l’ambiente idrico, suolo e sottosuolo, il rumore e le vibrazioni, la vegetazione, la fauna e ecosistemi.

Aria. Si provvederanno a monitorare gli effetti delle emissioni al camino, gli effetti delle concentrazioni in atmosfera e gli effetti delle ricadute al suolo. Dovremo tener conto sia dei macroinquinanti che sono in grado di generare effetti acuti per brevi tempi di esposizioni a concentrazioni che superano determinati livelli di soglia (CO, SO2), sia dei microinquinanti che sono responsabili di danni alla salute e all’ambiente per esposizioni prolungate anche a concentrazioni molto basse (diossine, furani, IPA, metalli pesanti). Per i macroinquinanti ho sistemi di campionatura automatici, di solito in corrispendenza delle fonti (ad esempio il camino), per i microinquinanti ho procedure di campionatura spesso indirette con procedimenti analitici complessi.

Biomonitoraggio. Si utilizzeranno dei biosensori che dovranno essere sensibili, ubiquitari, stazionari e longevi. Si dividono in: bioaccumulatori, che trattengono la sostanza inquinante all’interno di tessuti che verranno poi analizzati; bioindicatori, che manifestano la presenza di un inquinante attraverso l’alterazione della morfologia strutturale (macchie sulle foglie, deperimento, eccetera).

Aspetti generali del trattamento termico dei rifiuti. A confronto le tre principali tecnoligie: termodistruzione, gassificazione e pirolisi.

Le regole del progresso, figlie dell’enorme evoluzione culturale e tecnologica arrivata dagli Stati Uniti, hanno influenzato il modo di vivere di quasi tutta la popolazione mondiale. Si è indotti, a partire dagli spot pubblicitari, a soddisfare i nostri bisogni con beni che hanno volutamente vita breve. Per dare qualche numero, si pensi al pungente bisogno di chi è allergico: soffiarsi il naso. Fino a qualche anno fa, io lo ricordo benissimo, mia mamma ogni mattina mi preparava il fazzoletto pulito, era di stoffa, con le mie iniziali sopra. Li ho ancora quei fazzoletti, dopo venti anni li trovo ancora piegati e stirati nei miei cassetti. Le cose oggi sono leggermente cambiate, si va al Centro Commerciale e con 3 euro si coprano 30 pacchetti di fazzolettini di carta, di quelli “usa e getta”: soffia e butta via. Quando ero piccolo e mia mamma mi preparava il fazzoletto non avevo l’allergia, oggi sono allergico e quando mi va male consumo anche 4 pacchetti al giorno e se un pacchetto pesa 30g, produco 120g di rifiuto inutile e se consideriamo che il 25% degli italiani soffre di allergia ci sono 15mln di persone che nei periodi peggiori producono 1.800.000kg di rifiuto inutile. Ovviamente questi sono numeri dati quasi a caso, ma che numeri! Ecco che bisogna puntare alla massima riduzione del rifiuto, sia a monte che a valle della raccolta ed uno dei processi per farlo è proprio la termovalorizzazione.

La ciminiera di un termodistruttore.

Oggi, le tecnologie di termovalorizzazione del rifiuto sono sostanzialmente due:

  1. incenerire i rifiuti tal-quali o dopo un minimo di pretrattamento in un forno tecnologicamente avnzato
  2. trattare i RSU in modo da produrre materiale reinseribile nel ciclo produttivo e materiale residuo da bruciare

Il trattamento termico. Si hanno tre processi termici utili al trattamento dei RSU:

  1. Termodistruzione. In una relazione di un noto professore napoletano ho trovato questa definizione: “la termodistruzione è l’opzione di smaltimento finale che prevede di sottoporre i rifiuti ad un processo ossidante ad alta temperatura che porti all’eliminazione dei componenti pù pericolosi, trasformandoli in componenti pù semplici, trattabili con altre tecniche”.
  2. Gassificazione: dove ho una combustione parziale dei rifiuti in presenza di un difetto di ossigeno. Ciò permette solo ad una parte del rifiuto di bruciare producendo il calore necessario a decomporre termicamente la parte che non riesce a bruciare.
  3. Pirolisi: dove non ha luogo nessuna forma di combustione né tantomeno di ossidazione, piuttosto si una degradazione termica del materiale in totale assenza di ossigeno attraverso la cessione indiretta di calore.

Soffermiamoci, per ora, sulla prima tecnica ed analizziamone la definizione. Si possono fare alcune semplici considerazioni:  

  1. è un processo di smaltimento finale, anche se su questo non sono daccordo, infatti la stessa definizione alla fine si smentisce; 
  2. è una ossidazione, proprio ciò che naturalmente farebbe il rifiuto se lasciato a se stesso, ovviamente grazie all’elevata temperatura i processi sono molto diversi e con cinetiche molto diverse;
  3. tale ossiodazione porta all’eliminazione dei componenti pù pericolosi trasformandoli in composti pù semplici, anche su questo non sono daccordo, perché anche se la combustione tende sempre a produrre H2O e CO2, si hanno comunque una serie di composti pericolosi, anzi se non si fa attenzione se ne possono formare di estremamente pericolsi (vedi diossina);
  4. alla fine dobbiamo comunque intervenire con altri trattamenti per poter ridurre, dall’effluente gassoso (i fumi) l’ammasso di prodotti della combustione.

Obbiettivo. L’obbiettivo comune dei tre trattamenti sommariamente analizzati è di garantire una riduzione in peso ed in volume del rifiuto di partenza. La riduzione in peso vede la produzione di un residuo finale tecnicamente stabile conferibile in discarica.

L’energia di rifiuto. Ci sono alcune differenze sostanziali tra le varie tecniche in temini di conversione dell’energia di rifiuto: la termodistruzione permette un recupero di energia termica per la produzione di energia elettrica in situ, mentre la gassificazione e la pirolisi producono un gas a medio e basso potere calorifico che può essere trasportato anche a distanza. Trasformano l’energia di rifiuto in un “vettore energetico immagazzinabile e trasportabile”.

Venti anni di paradiso nella città dei rifiuti.

InAmbienTe. Si era nel lontano 1994, quando in Campania si cominciò a sentire puzza di ecomafia. Oggi siamo nel 2007 e la puzza è raddoppiata, da una parte la camorra e dall’altra il rifiuto.Fino al 1998, i rifiuti erano sversati in discarica senza nessun accorgimento preliminare, in pratica il rifiuto veniva prodotto dalla comunità e veniva sversato tal-quale nella discarica. Solo dopo l’approvazione del Decreto Ronchi (n° 22/1997) si impose il divieto di conferire il rifiuto tal-quale direttamente in discarica. Ad essere precisi, il D.L. 22/97 creò una vera rivoluzione nella gestione dei rifiuti in Italia, introducendo per la prima volta il concetto di Raccolta Differenziata e imponendo la riduzione della produzione alla fonte. Basti considerare che circa il 70% dei rifiuti è composto da imballaggi. Qualche anno dopo, con la legge che regolamenta l’uso delle discariche (36/03) si fece un passo indietro, fu re-introdotta la pratica dello smaltimenti tal-quale dei rifiuti (anche se la regione Campania non si adeguò) ponendo dei limiti sulla frazione organica a: 173 kg (di organico) per abitante ad anno fino al 2008, per arrivare a 81 kg per abitante anno nel 2018.

Discarica

Prima di iniziare a fare due conti è bene fissare l’attenzione su alcuni parametri importanti.

  1. Il limite imposto dalla normativa in tema di Raccolta Differenziata era a scalare, ed entro il 2003 era previsto un tetto minimo del 35%. Oggi, in Campania si stima (non so con quale criterio) il 12% di differenziata, ben al di sotto del limite normativo.
  2. Un abitante della Campania, in media produce 1,3 kg di rifiuto al giorno.
  3. Il 35% in volume di rifiuto è composto da organico.
  4. La legge permette di sversare il rifiuto tal-quale se ha apporto in materia di organico per abitante all’anno inferiore a 173 kg.
  5. Gli abitanti della provincia di Napoli sono circa 3000000.
  6. Gli abitanti del nostro comprensorio arrivano a circa 200000.
  7. La densità media di un rifiuto in un autocompattatore è di 0.3 tonnellate a metro cubo.
  8. In un impianto di trattamento si produce circa il 30% di organico che stabilizzandosi perde il 20%in volume.
  9. Circa il 20% sono sovvalli.
  10. Dalle ecoballe si ha il 15% di ceneri.
  11. Il volume medio di una Discarica come quella di Villaricca dovrebbe essere intorno ai 2000000 di mc (parametro stimato).

Veniamo ai nostri conti. Supponiamo di trovarci nella situazione attuale, dove dagli impianti esce rifiuto trito-vagliato che non subisce riduzione in volume:

  1. Produzione giornaliera di rifiuto della provincia di Napoli: 1.3 * 3000000 = 3900000 kg / giorno (3900 t/d).
  2. Volume di rifiuto al giorno: 3900 / 0.3 = 13000 mc / d di rifiuti che ogni giorno vanno in discarica.
  3. Giorni utili per il riempimento della discarica: 2000000 / 13000 = 153 (poco pù di cinque mesi).

Quindi ci rendiamo conto che, nel caso in cui tutta la provincia di Napoli sversi in un unico bacino di 2mln di mc un rifiuto senza che preventivamente ci sia stata una riduzione di massa, il sito si satura in un tempo di circa 5 mesi. Da considerare che nella gestione di una discarica controllata, per rientrare dei costi, si dovrebbe avere un tempo di attività almeno di 5 anni.

E se a sversare in quel bacino fosse solo il nostro comprensorio, cosa accadrebbe?

  1. Produzione giornaliera di rifiuto nel nostro comprensorio: 1.3 * 200000 = 260000 kg / giorno (260 t/d).
  2. Volume di rifiuto al giorno: 260 / 0.3 = 866 mc / d di rifiuti che ogni giorno vanno in discarica.
  3. Giorni utili per il riempimento della discarica: 2000000 / 866 = 2309 (circa sei anni e mezzo).

Direi che, alla luce dei due conti appena fatti, non sarebbe poi tanto male. Si smaltirebbero i nostri rifiuti, in quantità assai minori, con tempi per la gestione assi pù lunghi e possibilità quindi di maggiore attenzione nelle modalità di abbancamento e di conferimento.

Ma spingiamoci ancora oltre. Se nei lunghi anni di commissariamento si fosse arrivati alla piena realizzazione del ciclo integrato dei rifiuti, oggi ci sarebbero sette impianti di trattamento perfettamente funzionanti, tre impianti di termovalorizzazione e alcune discariche per il conferimento di FOS, sovvalli e ceneri. Inoltre, in Campania la Raccolta Differenziata si troverebbe al 35%. Cerchiamo di tirare fuori qualche cifra:

  1. Produzione giornaliera di rifiuto nel nostro comprensorio: 1.3 * 200000 = 260000 kg / giorno (260 t/d).
  2. Volume di rifiuto al giorno: 260 / 0.3 = 866 mc / d di rifiuti.
  3. Il 35% viene differenziato alla fonte: 866 * 0.35 = 303 mc di rifiuto differenziato, che esce dal ciclo. Restano 563 mc.
  4. Circa il 30% va nella frazione organica da stabilizzare: 563 * 0.30 = 167 mc, nella fase di stabilizzazione si perde circa il 20% in volume: 167 * 0.8 = 135 mc di FOS da conferire in discarica.
  5. Circa 20% sono i sovvalli: 563 * 0.2 = 113mc da conferire in discarica.
  6. Il 50% va a comporre le ecoballe: 563 * 0.5 = 282 mc.
  7. Dall’impianto di termovalorizzazione si produce il 15% di ceneri: 282 * 0.15 = 43 mc da conferire in discarica.
  8. Sommando la quantità di rifiuto da conferire in discarica (i numeri in grassetto) si ha: 135 + 113 + 43 = 291 mc.
  9. Giorni utili per il riempimento della discarica: 2000000 / 291 = 6872 (circa venti anni). Decisamente una situazione niente male.

Ricapitolando, se tutta la provincia di Napoli conferisce rifiuto tal-quale in un unico catino dalle dimensioni medie di 2mln di mc, nel giro di 5 mesi ci si ritrova nella situazione di partenza: trovare una discarica in cui conferire la produzione giornaliera di rifiuto.

Se a conferire il rifiuto tal-quale fosse solo un’area, quindi se si prevedono pù catini per l’intera provincia, la discarica si riempirebbe nel giro di cinque anni, con un vantaggio in termini di gestione, e quindi di qualità della vita dei centri abitati limitrofi, decisamente elevato.

Nell’ipotesi, oggi quasi fantascientifica, in cui il ciclo integrato dei rifiuti fosse attivo, a partire dalla raccolta differenziata fino alla termovalorizzazione delle ecoballe, si avrebbe uno scenario da paradiso terrestre, con la durata della discarica intorno ai 20 anni, all’interno della quale sarebbero conferiti la Frazione Organica Stabilizzata, quindi niente puzza e pochissimo percolato, i sovvalli degli impianti di trattamento (praticamente degli inerti) e le ceneri degli impianti di termovalorizzazione (inerti anch’esse).

Io opterei per il terzo scenario. E voi?