Le emissioni di gas serra della Termovalorizzazione (2).

Nel primo contributo, ci siamo fermati all’analisi delle emissioni di gas serra a livello globale accennando alla rivoluzione (se proprio così la si vuol chiamare) introdotta dal protocollo di Kyoto. Una prima conclusione alla quale siamo giunti ci porta a dire che il protocollo, così come redatto, non ci porterà da nessuna parte. Sempre prendendo spunto dalla una relazione dell’Ing. Andrea Forni, vogliamo concludere il nostro discorso spostando l’attenzione sul contributo che la termovalorizzazione dei rifiuti apporta alle emissioni dei gas serra.

Incenerire i rifiuti è una pratica molto comune soprattutto nel nord Europa, basti pensare che il primo impianti costruito in Germania risale alla fine del 1800. Gli impianti di ultima generazione permettono di recuperare energia sia sottoforma di calore (di solito utilizzato nel Teleriscaldamento) e di elettricità (che può essere immessa nella rete elettrica). Uno dei punti di forza degli inceneritori è che permettono una considerevole riduzione del volume dei rifiuti, anche se questa riduzione è sempre accompagnata da una serie di effluenti sia gassosi che liquidi che vanno opportunamente trattati.

Alla metà degli anni settanta, una tonnellata di RSU produceva 280 KW di eneregia elettrica e 360 di energia termica, con un rendimento del 19% che permetteva un risparmio di 0,07 tep (tonnellate equivalenti di petrolio) di energia fossile. Gli impianti di ultima genererazione (WTE), permettono una produzione di energia elettrica e termica rispettivamente di 800 e 360 KW, con un rendimento del 31% ed un risparmio in termini di energia fossile di 0,17 tep.

Ovviamente, l’analisi appena fatta non è completa, perché alla riduzione delle emissioni per effetto della energia fossile risparmiata dobbiamo sommare le emissioni che si hanno dall’impianti di trattamento termico. Solo se questo bilancio è positivo possiamo affermare che questa tecnica è utile al 100%. Per poter fare due conti, senza entrare troppo nello specifico, facciamo una importante anche se discutibile considerazione.

l’anidride carbonica prodotta da questi impianti e derivante dalla frazione biologica di carbonio, non contribuisce all’effetto serra.

Le ragioni di una così forte affermazione vanno lette in un’analisi logica del problema e delle sue origini. Se facciamo un’analisi elementare del rifiuti, possiamo suddividere la frazione di carbonio in due famiglie: quella di origine biologica (contenuta nelle piante, nei fiori, nei tessuti ecc.) e quella di origine fossile (contenuta nelle plastiche, nella gomma, nelle resine, ecc.). Quando bruciano, entrambe le famiglie vengono ossidate producendo la famigerata anidride carbonica, ma la parte di carbonio appartenente alla famiglia biologica, che viene prodotta naturalmente per effetto della sintesi colofilliana, tornerebbe comunque sottoforma di CO2 tramite i processi di degradazione che la natura stessa è capace di fare. Quindi, gli apporti di CO2 di questa famiglia non viene considerata nel calcolo delle emissioni di CO2 equivalente. Considerazione discutibile ma riconosciuta dalla comunità scientifica. In definitiva, per il calcolo delle emissioni di CO2, derivanti dalla conbustione dei rifiuti, si prende in considerazione solo la parte di carbonio che ha origini fossili.

Fatta questa importante premessa, possiamo affermare che:

(1) t CO2 emesse = t C elementare 3,667 (per capirlo basta fare 12 /44);

La letteratura è solita assegnare un rapporto di 1/3 tra carbonio fossile e carbonio totale, per cui si ha che:

(2) t CO2 da rifiuti = 1/3 t CO2 emesse;

Per avere un bilancio corretto dobbiamo considerare anche le emissioni di metano utilizzato per far funzionare l’impianto:

(3) t CO2 metano = PCH4 Fe Fossi, dove:
PCH4 è la portata di metano bruciata;
Fe è il fattore di emissione, pari a 1,966 t CO2 / 1000 Stm3;
Fossi il fattore di ossidazione, pari a 0,995;

Vediamo di calcolare la quantità di CO2 che non si è prodotta grazie alla produzione di energia elettrica che l’impianto ci consente di ottenere. In pratica calcoliamo la quantità di CO2 che non viene emessa perché viene risparmiata una parte dell’energia fossile che di norma si utilizza.

(4) t CO2 non emessa = Eel prodotta Fe;

Dai dati che ci fornisce l’Enel si ha che:

(5) Fe = 500 kgCO2 / MWhel;

Lo stesso vale per l’energia termica:

(6) t CO2 non emessa = Eter prodotta Fe,caldaie;

Fatte queste considerazioni analitiche, i dati che ci fornisce la relazione dell’Ing. Forni sono eloquenti  e sicuramente a vantaggio degli impianti di incenerimento. Infatti, nella relazione si legge che nella metà degli anni settanta, dalla comustione di 1 t di RSU l’impianto di incenerimento produceva 150 kg di CO2eq in pù dei tradizionali sistemi. Con gli impianti di ultima generazione (WTE), invece, il segno è completamente invertito, l’incenerimento di 1 t di RSU produce 110 kg in meno di CO2eq rispetto agli impianti tradizionali.

Le conclusioni sono anch’esse discutibili ma, se confermate dai numeri, fanno davvero riflettere.

Le emissioni di gas serra della Termovalorizzazione (1).

La premessa. Questi che vi proponiamo, sono due articoli tratti da alcune considerazioni lette in una relazione dell’Ing. Andrea Forni sulle emissioni di CO2 che si hanno all’interno di un impianto di Termovalorizzaione. In questo primo contributo ci soffermiamo sulle premesse, mentre nel secondo (di prossima pubblicazione) faremo riferimento ai dati relativi alle effettive emissioni degli impianti di trattamento termico degli RSU.

Emissioni gas serra KyotoLe emissioni. È impressionante notare che negli ultimi 1000 anni si sia avuta una impennata spaventosa delle emissioni di CO2. Basti pensare che nel lontanissimo 900 si emettevano appena 270 ppmv (parti per milione volumetriche), valore restato costante fino al 1800 (per quasi mille anni, quindi), dove l’essere umano ha cominciato a produrre (e quindi a consumare). Dal 1800 ad oggi si è passati dalle 270 ppmv alle attuali 370 ppmv. [Fonte: Environment Canada, 2004].

Le cause e le soluzioni. Le principali cause di queste emissioni sono da leggersi nel consumo, ormai spropositato, di combustibili fossili e nella scellerata attività di deforestazione che ogni anni siamo capaci di perpetrare. Con l’ormai inflazionato protocollo di Kyoto si sta cercando (molto a rilento, direi) di invertire questa tendenza. Per il periodo che va dal 2008 al 2015, alcuni paesi industrializzati, si impegnano a ridurre le emissioni di gas serra del 5% rispetto ai valori emessi nel 1990. L’UE, che ha ratificato il protocollo nel 2002, si impegna ad una riduzione dell’8%. Sembra assurdo ma, nonostante la partecipazione dell’Europa e di numerose nazioni indrustrializzate, l’accordo non è potuto entrare in vigore finché la Russia non lo ha ratificato. Infatti, USA e Australia ancora oggi sono fuori dal protocollo che, per fortuna, è entrato in vigore nel febbraio del 2005.

Kyoto. Kyoto non è solo un accordo siglato sulla carta, ma è un vero e proprio strumento che insegna e guida le nazioni al raggiungimento dei propri obbiettivi di riduzione. Il protocollo mette a disposizione diversi strumenti e incentivi, tra i quali l'”Emission Trading“, che è uno strumento che premia le attività che hanno emissioni minori rispetto a quelle preventivate e che dà la possibilità di commerciare crediti da emettere verso altre nazioni; la “Joint Implementation“, che permette, alle imprese delle nazioni indistrializzate, di fare fronte comune per facilitare le riduzioni; il “Clean Development Mechanism“, che è indirizzati ai paesi in via di sviluppo.

In Italia. In Italia, nel 1990, si emettevano circa 520 Mt di gas serra, nel 2004 si è arrivati a 582 Mt con un incremento, quindi, di circa 62 Mt (il 12% in pù rispetto al 1990). Volendo rispettare gli obbiettivi che il nostro paese si è prefissato, le emissioni nel 2004 sarebbero dovute essere di 458 Mt, con una riduzione del 6.5% rispetto al 1990. È inutile sottolineare che all’aumentare della produzione nazionale (PIL) si ha un’inevitabile incremento della CO2 emessa, quasi a sottolineare che, con l’attuale sistema produttivo, non si può crescere senza emettere pù CO2.

I responsabili. Volendo considerare i settori responsabili delle emissioni, si ha che il maggiore indiziato è il settore energetico, che da solo contribuisce per circa l’80% delle emissioni, per quanto riguarda il trattamento dei rifiuti, si ha un contributo del 3.4%. Analizzando la tendenza, invece, si nota che l’incremento che si è avuto può essere imputato al settore energentico, essendo gli altri rimasti pù o meno costanti nel tempo.

Prima conclusione. Da questi pochi ed approssimati dati si può trarre già una prima e secca conclusione. Anche se ci stiamo appoggiando ad un’analisi non nostra, ci reputiamo uno strumento indipendente, composto da persone “esperte almeno didatticamente” e ci permettiamo di fare alcune affermazioni. Così come ratificato, il protocollo di Kyoto non ci porterà da nessuna parte. Non è possibilie ridurre le emissioni senza modificare considerevolemnet le nostre abitudini. Voler vivere e consumare ai ritmi odierni e, contemporaneamente, ridurre i gas serra è come voler mangiare il brodo con la forchetta: proprio non ci si riesce. L’unica nota positiva di Kyoto è l’aver messo sul tavolo comune di molti paesi le premesse per una seria considerazione del problema che, finché ci sarà petrolio sulla terra, non potrà essere superato. Nel prossimo articolo ci soffermeremo sugli effetti che il trattamento termico dei rifiuti apporta alle emissioni.

Mentre, dopo 14 anni di commissariamento, in Campania si muore di mal di monnezza, a Pisa si fa la dissociazione molecolare.

Non siamo di parte, anzi, vogliamo essere imparziali semplicemente perché facciamo gli ingegneri e non i politici, ma giusto un accenno alla notizia del rinvio a giudizio del nostro governatore è doveroso farlo. L’incompetenza, nel mondo del lavoro, viene sempre pagata a caro prezzo. Se quando si sbaglia o si toppa alla grande si è fortunati si viene semplicemente licenziati, spesso però si è costretti a cambiare mestiere. Strano è che nel mondo della politica questo metro non viene mai utilizzato e i colpevoli di scempi e di disastri come quelli che la Campania vive in questo periodo (lungo 14 anni) hanno ancora il coraggio di restare al proprio posto, beffardi e prepotenti. Facce toste, potremmo dire, anche se loro sono molto pù furbi dei cittadini che li hanno votati.

Rifiuti da smaltireComunque, il motivo di questo scritto è un altro, anche se alla fine si fonde con le considerazioni di cui sopra. Stiamo da anni – a me sembrano millenni – a discutere su come risolvere, anche solo parzialmente, la nostra tragedia. Spesi miliardi di euro, la situazione è anche peggio di quanto di potesse immaginare e proprio mentre la giustizia comincia la sua corsa contro il tempo a qualche centinai0 di chilometri da noi si fa sul serio. Per chi non lo sapesse, tra qualche mese, nella discarica di Peccio di Pisa sarà installato il primo impianti di dissociazione molecolare che produrrà il “syngas”, un gas di sintesi prodotto dalla dissociazione di alcune molecole.

L’obbiettivo dell’azienda che gestisce la discarica pisana è quello di testare il piccolo impianto (costato appena 300mila euro) per verificare se ci sono le basi per installare un sistema su larga scala. Per ora saranno trattate solo quattro tonnellate di rifiuto al giorno. Un buon inizio per un sistema che potrebbe essere una valida alternativa all’incenerimento.

Rete Idrica, il dimensionamento (3).

Nell’ultimo articolo, pubblicato un bel po’ di tempo fa, abbiamo visto come arrivare a determinare le caratteristiche delle condotte della rete idrica. Ricapitolando brevemente, assunto lo schema della rete idrica, tramite delle opportune sconnessioni portiamo il sistema da maglie chiuse a maglie aperte in modo da determinare la distribuzione delle portate, le quote piezometriche ed i diametri delle condotte. Il gioco sembra fatto e così sarebbe se i diametri ottenuti potessero essere utilizzati ma, di norma, così non è visto che ci si deve appoggiare ai diametri commerciali.

Per rendere più chiara la problematica facciamo un esempio numerico:

Supponiamo che delle formule viste nel precedente articolo si ottengano i seguenti diametri effettivi:

  1. 125 mm;
  2. 100 mm;
  3. 70 mm;
  4. 120 mm;

una delle prime cose da fare è quella di imporre il valore di 80mm come limite inferiore, in seconda battuta riportare il valore dei diametri calcolati al diametro commerciale immediatamente superiore. In ultimo ridurre la rosa di diametri utilizzati ad almeno tre valori, in modo da non dover gestire un quantitativo elevato di tipologie di tubazioni. L’analisi ora fatta ci porta alla seguente distribuzione commerciale:

  1. 150 mm;
  2. 100 mm;
  3. 80 mm;
  4. 150 mm.

Questo tipo di necessità rende opportuno effettuare le seguenti verifiche:

  1. Verifica di Punta;
  2. Verifica a rottura di un tronco principale;
  3. Verifica all’incendio;

Inquietante scoperta del centro malattie rare dell'Iss: gli "ftalati" delle plastiche provocherebbero il tumore.

La notizia l’ho appena letta su il Tempo e pone l’attenzione su un tema davvero importante: la pericolosità non accertata di alcune sostanze di uso comune. L’Istituto Superiore della Sanità sta svolgendo uno studio per accertare se gli Ftalati, aggiunti alle plastiche per renderle pù morbide, siano o meno la causa di una rara forma di tumore al fegato (l’epatoblastoma, un tumore maligno raro e molto grave che colpisce i bambini nella percentuale di 1 su 8 milioni). La questione è preoccupante perché quasi tutti i giocattoli destinati ai bambini appena nati sono formati da platiche morbide che contengono la sostanza incriminata.

La notizia è stata anticipata da Domenica Taruscio, in occasione della Prima Giornata di sensibilizzazione sulle malattie rare che si svolge in contemporanea in vari paesi europei. La responsabile del centro malattie rare ha affermato che “l’80% dei tumori hanno origine genetica e c’è un 20% di casi che hanno origine da stimolazioni ambientali e alimentari”. Sempre la Taruscio ha aggiunto che “Si è infatti osservato che bambini nati prematuramente e intubati, dunque a contatto con apparecchiature plastiche contenenti ftalati, hanno sviluppato pù frequentemente di altri questa patologia».

Gli Fatalati sono esteri dell’acido ftalico e sono presenti nelle plastiche di uso comune, soprattutto nel PVC. Tali sostanze consentono alle molecole di scorrere le uni sulle altre in modo da rendere morbida la sostanza plastica. Come si legge da wikipedia, nel 2004 è stata stimata una produzione mondiale di flatalati di 400.000 tonnellate, il ché non ci rende tranquilli. Inoltre, riportiamo testualmente, una nota sugle effetti di queste sostanza sulla salute.

Gli ftalati sono oggetto di controversia dal 2003; alcuni studi sembrano mostrare che siano in grado di produrre effetti analoghi a quelli degli ormoni estrogeni, causando una femminilizzazione dei neonati maschi e disturbi nello sviluppo dei genitali e nella maturazione dei testicoli.

Studi sui roditori mostrano che un’elevata esposizione agli ftalati provoca danni al fegato, ai reni, ai polmoni ed allo sviluppo dei testicoli, tuttavia, un analogo studio condotto da ricercatori giapponesi su una specie di primati non ha evidenziato effetti a carico dei testicoli (Tomonari et al, The Toxicologist, 2003).

Estratto da “http://it.wikipedia.org/wiki/Ftalati

Questo dimostra come sia incerto l’uso dalla maggiorparte delle sostanze oggi in commercio. Inoltre, ci sono una serie di processi che sono sotto accusa e che vengono continuamente utilizzati senza che ci sia una chiara conoscenza sui loro effetti, basti pensare alle onde elettromagnetiche dei sistemi telefonici.

Ennesima beffa per il Giuglianese, riapre Taverna del Re. Numerose le proteste: una donna si da' fuoco.

Che le promesse dei commissari sono solo fiato nel vento lo abbiamo imparato ascoltando Catenacci, ma quello che succede dalle parti del Giuglianese ha davvero dell’incredubile. Se proprio non si è in grado di rispettare quello che si scrive nelle ordinanze forse è meglio non emetterle proprio perché ad essere presi in giro sono centinaia di migliaia di persone. Vi segnalo la lettura di alcuni articoli apparsi su InterNapoli  (De Gennaro certo: riapre Taverna del Re, Incatenate e cosparse di benzina: una si da’ fuoco).

Questa assurda situazione nasce proprio quando dal governo arrivano i primi soldi per la bonifica del territorio di Giugliano con un progetto che, guarda caso, non ha preso in considerazione il sito di stoccaggio pù grande d’Europa. In pratica Taverna del Re viene dimenticata da chi dovrebbe bonificarla ma viene sempre ricordara da chi dovrebbe salvarci dai rifiuri. Una situazione assurda che fa davvero pensare a male, si vocifera che i soldi della bonifica, 50 milioni di euro, siano arrivati proprio in cambio dell’apertura del sito di stoccaggio incriminato. Insomma, l’agonia della nostra terra sembra proprio non avere fine.

Federico II, notize dall'università: dal 3 al 7 marzo placement test per i corsi di inglese.

Dal sito unina.it 

Presso il Centro Linguistico di Ateneo (CLA), la struttura di Ateneo che organizza attività didattiche, di ricerca e di servizio relative all’ambito dell’insegnamento e dell’apprendimento delle lingue straniere e dell’italiano per gli studenti Erasmus, è possibile, per gli iscritti alla Federico II, seguire corsi di lingua inglese.

Per la verifica del livello di conoscenza della lingua degli studenti interessati alla frequenza ai corsi, lunedì 3 e venerdì 7 marzo 2008 si svolgeranno i placement test, ai quali è necessario prenotarsi. Per iscriversi, inviare la propria una mail all’indirizzo cla@unina.it entro il 29 febbraio 2008, indicando nome, cognome, matricola, facoltà e corso di laurea di appartenenza.

L’amministrazione del Centro provvederà a definire e a comunicare, sempre  via e-mail, giorno, ora e sede in cui si sostenere il test. (StELIA)

Ulteriori informazioni sul sito di assingegneria.

Sei gradi in più e ritorniamo al Cretaceo. Apocalittico scenario di una escalescion della temperatura terrestre.

Sono appena tornato da un viaggio nel mondo civilizzato della Svizzera, del quale farò presto un resoconto, e dopo aver vissuto questa intensa esperienza mi rendo davvero conto che stiamo molto indietro… ma davvero molto. Dobbiamo riflettere su quello che siamo diventati piuttosto che rievocare quello che eravamo.

Comunque, veniamo al nostro impegno divulgativo, ho trovato una interessante sintesi degli effetti dell’incremento della temperatura terrestre e credo sia interessante condividere con voi alcune considerazioni. Ecco un breve prospetto degli affetti grado per grado:

1 grado. Niente pù grano sul mercato mondiale.
2 gradi. Distruzione delle barriere coralline.
3 gradi. Continue tempeste di sabbia su Parigi.
4 gradi. New York sommersa dall’acqua
5 gradi. Lotta fra i superstiti dei disastri climatici.
6 gradi. Ritorno al periodo cretaceo

Questo prospetto, che effettivamente fa venire i brividi, è un’analisi frettolosa ma reale di quello che stiamo, lentamente, diventando a livello globale. Quando si pensa al grado centigrado in pù si immagina che sia poca cosa, un grado in pù o in meno non cambia nulla, ma in realtà, a livello globale cambia molto e lo si nota già negli ultimi anni, dove gli eventi climatici di forte intensità sono aumentati vertiginosamente. Pensare a sei gradi in pù, quindi, significa davvero immaginare una terra diversa, una terra dove la vita, come la vediamo oggi, non è senz’altro possibile.

Il punto di non ritorno, quello che cambierebbe radicalmente la vita sulla terra, è rapporesentato dall’incremento di tre gradi. Ad affermarlo sono gli scienziati che studiano questo tipo di fenomeno. Tre gradi in pù porterebbero la foresta pluviale dell’Amazzonia a vivere numerosi cicli di siccità e, quindi, di incendi con la conseguente emissione di migliaia di tonnellate di anidride carbonica il ché aumenterebbe ancora la temperatura terrestre. Non esisterebbe pù il fenomeno “neve” e quasi sicuramente si formerebbero uragani di una nuova catyegoria: la sesta.

Sempre secondo questi scienziati, nel 2035 non ci sarebbero pù ghiacciai sull’Himalaya con la conseguenza che circa un miliardo di persone non avrà pù accesso all’acqua dolce. Per non parlare del livello del mare che innalzandosi sommergerebbe gran parte delle zone costiere, Italia compresa.

 Queste situazioni comporterebbero enormi esodi di profughi costretti ad andare altrove perché le zone d’origine non saranno pù abitabili con possibili conflitti e guerre che potranno solo aggravare la sitiuzione.

Al sesto grado ritorneremo all’era del Cretaceo (144-65 milioni di anni fa). Gli oceani diventerebbero completamente blu perché ormai privi dei nutrienti e i disastri ambientali sarebbero all’ordine del giorno.

Insomma, scenario apocalittico che, se non ci muoviamo a ridimensionare le emissioni di gas serra, potrebbero figurarsi a noi molto presto.

Il giorno del rifiuto, Sabato 23 Febbraio a Piazza Dante. Interverranno anche Beppe Grillo e Franca Rame.

Non è per simpatia o per amicizia, non lo facciamo nemmeno per tenere alta l’attenzione su questo tema, ma ci fa davvero piacere promuovere un evento che reputiamo essere importante per il nostro futuro. Sabato 23 Gennaio, a piazza Dante, non si parlerà della monnezza per strada ma si parlerà del nostro futuro e di come evitare che nei prossimi anni, fatta salva questa emergenza, si possa rimanifestare un tale spreco di energia. Promosso dagli amici di Beppe Grillo, in prima persona da Marco Savarese, Roberto Fico, e Vittorio DiResta, “il giorno del rifiuto” viene presentato come un evento storico per il popolo napoletano. Dalle 12,00 fino a mezzanotte, sul palco di una delle piazze simbolo di questa nostra terra che soffre, si alterneranno numerosi personaggi sia del mondo scientifico che del mondo dello spettacolo. Saranno presenti anche Beppe Grillo, Franca Rame e Padre Alex Zanottelli.

L’iniziativa, organizzata senza sponsor, ha visto la partecipazione economica dei cittadini della Campania prima e dell’Italia poi che, con un contributo di un euro, hanno reso possibile la realizzazione di un evento senza precedenti. Oltre ai tre illustri nomi sopra citati, parteciperanno Maurizo Pallante, il Dott. Gentilini, Paul Connet, il Prof. Lucarelli, il dott. Comella, il dott. Marfella, il prof. Ortolani, il prof. De Medici, Alessandro Iacuelli. Per il mondo dello spettaccolo ci sarannp Edoardo Bennato, Enzo Gragnaniello, Tony Cercola, Sasà Mendoza and quartet jazz, Spakka-Neapolis 55, Nello Daniele, Polo La Famiglia, Capone & Bungt Bangt, Enzo La Gatta e le nuove nacchere rosse, Giovanni Block e Masnada, Antonio Diana, Peter’s Gospel Choir, Anna Troise, Zorama ed Impact.

“Questo evento ci deve dare soprattutto speranza, quella speranza che politici, cammorristi imprenditori corrotti hanno cercato così fortemente di toglierci. Fortunatamente gli è andata male, ma proprio male!”. Così si esprimono gli organizzatori nel promuovere l’evento, i quali aggiungono che “la città di Napoli è pronta a riprendersi la speranza che gli appartine, la sua intelligenza, la sua cultura e soprattutto la sua umanità. Se le persone sono unite nella loro passione, forza e fiducia non c’è politico o ostacolo che le possa fermare.”

In rete c’è anche un simpaticissimo spot che vale davvero la pena guardare. Devo dire che le cose sono organizzate davvero bene e la caratura sia degli ospiti che degli artisti che parteciperanno all’evento fa pensare ad un pomeriggio davvero interessante. Proprio il giusto scenario per dare una svolta a questa nostra assurda situazione. Purtroppo non c’è giorno che guardandomi intorno ed ascoltando le notizie sia in radio che in tivvù non mi venga un colpo allo stomaco. Cosa ci facciamo in questa situazione noi? Tutti in piazza sabato… mi raccomando.

Uleriori informazioni: Il giorno del rifiuto

Interessante iniziativa della Coldiretti: Mille chilogrammi di CO2 in meno se si mangia a "Chilometri zero".

La coldiretti ha promosso un interessante progetto per la riduzione dei prezzi dei beni alimentari che prende il nome di “chilometri zero”. L’obbiettivo è quello di incentivare il consumo dei beni alimentari locali e di stagione a sfavore di quelli che vengono importati dall’estero o da altre zone d’Italia e che vengono prodotti in maniera non naturale e con l’ausilio di tecnologie economicamente sfavolrevoli. L’iniziativa, secondo il mio modestissimo parere, merita l’attenzione di tutti i media (portoppo, in questo momento si parla solo di politica…), proprio perché fa tornare ogni essere umano con i piedi per terra.

Infatti, è davvero paradossale che ci sia bisogno di promuovere una iniziativa a livello nazionale per riportare l’attenzione di una popolazione, come quella italiana, che ha la propria storia scritta a chiare lettere nelle zolle della campagna che ogni giorno ci fornisce frutta e verdura. Ma fin dove vogliamo arrivare prima di renderci conto che in pochissimi anni abbiamo dimenticato tutto quello che ci ha fatto diventare il “Bel Paese”? Basti pensare che oggi si consuma frutta e verdura che viene da altre nazioni (la Spagna ha visto un incremento delle esportazioni verso l’Italia che ha dell’incredibile), trasportata nella nostra terra utilizzando esclusivamente mezzi su gomma, alimentati a benzina e che sono, quindi, inevitabilmente condizionati dall’aumento del prezzo del petrolio. In sistesi: il petrolio aumenta, la prugna spagnola aumenta. Mai equazione è stata pù semplice. E le nostre prugne? Solo perché maturano qualche settimana dopo sono relegate ad essere seconda scelta e, da figlio di contadini, il paradosso sapete qual è? Che la nostra frutta, viene spedita fuori perché da noi non c’è mercato. Spedita utilizzando gli stessi camion che inquinano e che, consumando petrolio, fanno aumentare ancora il prezzo della frutta. 

I numeri della Coldiretti parlano chiaro, se si consuma frutta di stagione e prodotti locali si può risparmiare il 20% di spesa e si evita di immettere nell’atmosfera 1000 chili di anidride carbonica.

Ultimamente mi rendo conto che con un po’ di attenzione si possono migliorare moltre nostre cattive abitudini dando benificio prima a noi stessi e poi alla comunità intera. Per avere informazioni sull’iniziativa e per conoscere le aziende agricole che partecipano al progetto “chilometri zero” basta un click sul sito www.campagnamica.it.

Mettiamo pure che De Gennaro riesca nel suo intento. E poi?

Sinceramente, trovo teatralmente assurdo quello che ci sta accadendo. Un rispettabilissimo cittadino italiano costretto a risolvere il problema campano, costretto a dover convincere la popolazione della regione pù inefficiente d’Europa, a permettergli di togliere l’abnorme quantità di rifiuto accumulatosi in questi mesi nelle strade. In pratica, fuori casa mia c’è un cumulo che forse sparirà, sarà messo nella Cava Riconta, oppure in un altra cava, poco importa, quello che conta è che sicuramente si riformerà. Invece di guardare seriamente oltre, si pensa sempre e solo a quella maledetta pezza da cucire per tappare il buco nelle mutande.

Sinceramente non credo ci sia un dopo De Gennaro, nel senso che se mai questo bravuomo riuscisse a spostare il mio cumulo di immondizia, non avrebbe fatto altro che tappare l’ennesimo buco in una terra che di buchi ne ha ancora da vendere. Ma quanto ci vuole a capire che la soluzione non c’è, o meglio, nessuno l’ha ancora presa?

Siamo carichi, colmi fino all’orlo di ogni cosa: immondizia, quella sicuramente; rabbia, quella ormai sta traboccando;sfiducia, purtoppo questa non si manifesta in maniera intelligente; rassegnazione, idem. Insomma, siamo alla frutta ma non ci aspetta il caffè, anzi ci aspetta un amaro digestivo.

Se proprio si deve tamponare la rabbia della popolazione ancora per qualche mese per poi riportare la situazione al limite del sopportabile, sinceramente meglio esplodere ora. Ormai si è davvero sull’orlo di una sorta di guerra civile. Solo quando si capirà che bisogna predere decisioni serie si riuscirà a convincere la gente che qualcosa sta davvero cambiando. Ma ci rendiamo conto che l’unica strada alla risoluzione del problema passa per Acerra? Sono pù che certo che percorrere questo cammino porterà noi campani e noi italiani in una situazione davvero poco felice.

Così l'oceano diventa un deserto. Aumenta la temperatura e la vita diminuisce.

Spesso si parla di desertificazione facendo riferimento alla terra ferma ed all’avanzare delle caratteristiche tipiche delle zone povere di vita. Sulla pagina del sito di Repubblica.it dedicata all’ambiente ho letto questo interessante articolo di Elena Dusi che allarga la visuale anche a quella parte della terra che sembrerebbe non poter soffrire di tale male: l’oceano. Nell’articolo si fa ampiamente riferimento ad uno studio della Nasa che grazie ad un proprio satellite, il “SeaWiFs”, ha rilevato che dal ’96 ad oggi le zone dell’oceano prive di vita sono aumentate del 15%. Un dato impressionante se si pensa alle dimensioni in gioco. In pratica, tra oceano e terra ferma, il deserto copre un’area che è il 40% della terra. Uno dei motivi principale di questo strano fenomeno di desertificazione è, come al solito, l’aumento della temperatura.

MareIl parametro che evidenzia questo comportamento è il colore della superficie dell’oceano passato dal verde-clorofilla, tipico delle zone ricche di vita, ad un blu scuro. Il ruolo della temperatura non ba letto solo in termini di effetto termico ma va inteso anche dal punto di vista delle correnti che sono evidentemente legate ad effetti termodinamici. Questa caratteristica è nota da un bel po di tempo, quello che sembra essere cambiata è la cinetica con la quale il fenomeno si sta evolvendo. In pratica, si legge sempre nell’articolo, la velocità di desertificazione dell’oceano è incrementata di 10 volte, rispetto al previsto, nel giro di 9 anni.

Per quanto riguarda il nostro mare, il mediterraneo, la situazione è ancora peggiore, con un dato che si asseta al 20% di estensione desertica. Valore che aggiunto all’inquinamento ed alla pesca eccessiva compromette di molto il futuro del mare nostrum.

Interessante è comprendere le dinamiche con le quali, la circolazione delle correnti marine (qui alcune interessanti info), permettono la rivitalizzazione degli strati superficiali. Il processo è semplice ed è tipico dei flussi caldo-freddo. La morte degli organismi marini permette un considerevole incremento di alcune sostanze molto importanti per il cilclo vitale: nitrati e fosfati che si depositano vesro i fondali oceanici. Grazie al raffreddamento delle correnti superficiali, queste sostanze possono risalire in superficie e, unite ai fenomeni fotosintetici, alimentano la vita negli oceani. Con l’interruzione di questo meccanismo si ha la riduzione della popolazione di animali che vivono in superfice.

Le ragioni di questi fenomeni possono essere trovate nelle attivitè dell’uomo che stanno alterando il clima. Non bastava il deserto di dune, ci mancava anche il deserto di accadueo.