Vivere ad emissioni zero? C'è chi ci è riuscito con ottimi risultati.

Paolo Rumiz.La notizia non ci stupisce, vivere emettendo il minimo indispensabile di CO2 è possibile, l’essere umano lo ha fatto per millenni, fino a quando l’era industriale e tecnologica ha cominciato a sconvolgere l’umana concezione della vita. Forse il primo passo è stato fatto quando, molto ma molto tempo fa, il fuoco è entrato nella vita dell’uomo, ma non vogliamo esagerare. Senza il fuoco, ed il potere di gestirlo, forse oggi non ci saremmo nemmeno. Ci accontentiamo dell’era industiale.

Nell’epoca delle conferenze e dei protocolli contro le emissioni di massa della CO2 un italiano, Paolo Rumiz, è riuscito a vivere per una settimana emettendo il minimo possibile di anidride carbonica, e la sua reazione è davvero positiva. Rumiz non sono ha vissuto senza auto ma ha contato ogni minimo contributo di CO2 per evitare di vanificare il suo sforzo.

Rumiz si è reso conto che bisogna stare attento a tutto, a partire da cosa e come si mangia. Acquistare il pane nella salumeria sotto casa fa risparimiare un bel po’ di CO2 visto che se prodotto lontano dovrà essere trasportato chissà da dove. Ha abbandonato l’uso di acqua minerale (cosa che noi consigliamo vivamente), ha acquistato verdure locali di stagione. È andato a fare la spesa in bici, ha viaggiato portando la bici con se utilizzando treni regionali (l’eurostar non ha il vano bici). In ufficio, ha utilizzato fogli usati solo da un lato, ha spento gli apparecchi che che si trovavano in stand-by e tutte le luci inutili. Per la cena ha tenuto in freddo le verdure mettendole sulla terrazza e in casa ha acquistato prese intelligenti, che si staccano quando non servono, ha spostato il tavolo vicino alla finestra per risparmiare luce ed ha installo un rubinetto rompigetto per ridurre i consumi di acqua.

Insomma, fa una serie di piccoli gesti, spesso davvero sacrificati, ma riesce ad emettere solo un quarto della CO2 che ogni settimana noi comuni mortali emettiamo. Come dice il mitico Giobbe Covatta (per Amref): “basta poco, che nce vo’!!”.

Difesa del suolo: il ministro Pecoraro stanzia fondi per 300 cantieri.

Il ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio Alfonso Pecoraro Scanio ha firmato un decreto contenente il secondo Piano strategico nazionale di mitigazione del rischio idrogeologico. Si tratta dei fondi necessari ad aprire 319 cantieri in tutta Italia, oltre ad interventi relativi a 5 programmi con le regioni Lazio, Marche, Molise e Toscana che prevedono ulteriori numerose azioni di riduzione del rischio e di difesa del territorio. Un impegno totale da parte del Ministero di oltre 241 milioni di euro. Lo si legge in una nota.

Pecoraro ScanioGli interventi finanziati interessano tutte le regioni e riguardano, oltre che la sistemazione di aree franose, alluvionali e valanghive, anche la manutenzione del territorio, la ricostituzione dell’equilibrio costiero, la ricostituzione dell’equilibrio idrogeologico in aree percorse dal fuoco e privilegiano, ove possibile, gli interventi che prevedono l’utilizzo di tecniche a basso impatto ambientale, quali l’ingegneria naturalistica.

«L’Italia – ha spiegato Pecoraro Scanio – ha un territorio con un alto livello di criticità in termini di rischio idrogeologico. Investire fortemente in opere per ridurre il rischio sul nostro territorio è, allo tesso tempo, un dovere e un’opportunità. Un dovere perchè troppo spesso ci troviamo a piangere i morti o calcolare gli ingenti danni per frane, alluvioni o valanghe, senza che per anni si sia fatto nulla. È però anche un’opportunità in quanto questi investimenti consentono di aprire cantieri e creare occupazione».

«Certamente – ha aggiunto Pecoraro – la difesa del nostro territorio da frane e alluvioni, così come la difesa delle coste o la riqualificazione di alcune aree, rappresenta l’opera pubblica pù importante. Avremmo necessità di moltiplicare i fondi per mettere in sicurezza tutta l’Italia, ma è un dato incontrovertibile che il governo attuale ha moltiplicato gli investimenti per questo settore. Voglio anche sottolineare – ha concluso il ministro – come la scelta degli interventi sia avvenuta di concerto con le regioni per evitare assurdi sperperi di denaro pubblico».

L’elenco degli interventi finanziati, si legge ancora nella nota, rispondono a precisi criteri concordati dal Ministero con le regioni: rispondenza alle classificazioni di rischio molto elevato delle Autorità di bacino; interventi di completamento e cofinanziamento; grado di integrazione tra misure di uso del suolo e interventi strutturali; utilizzo di tecniche a basso impatto ambientale, quali ad esempio, quelle dell’ingegneria naturalistica; dotazione di progetto definitivo, elaborato a seguito di una identificazione progettuale concordata tra i soggetti pianificatori; salvaguardia delle aree non antropizzate; elevato rapporto tra i costi di intervento e l’efficacia attesa di riduzione del rischio; maggior grado di funzionalità del lotto, all’interno di progetti complessi; coordinamento con gli interventi finanziati da altre fonti; inserimento in uno schema di Allerta rapida; verifica delle capacità di spesa e dell’efficacia dimostrata dall’Ente Attuatore.

Il Ministro, conclude il comunicato, ha segnalato ai comuni destinatari dei finanziamenti che il Ministero dell’Ambiente ha istituito l’Osservatorio Nazionale per la Difesa del Suolo e la Tutela delle Acque (ONDIS). L’Osservatorio, avvalendosi dei tecnici dell’APAT, avrà tra l’altro il compito, attraverso il monitoraggio economico e tecnico degli interventi ed opere, di verificare la capacità di spesa degli enti sui finanziamenti concessi, e quindi il contributo fornito alla rapida messa in sicurezza del territorio e protezione dei cittadini e delle infrastrutture.

La stampa.it

L’Inceneritore di Corteolona. Una realtà lontana anni luce da quella campana.

Come alcuni di voi sapranno io torno da poco da un esperienza lavorativa Milanese, durante la quale mi sono occupato del monitoraggio degli inquinanti nei fumi di combustione. Sempre per motivi lavorativi ho visitato l’inceneritore di Corteolona e mi sono dovuto ricredere su molte cose.

Io non sono molto favorevole agli inceneritori però l’impianto di Corteolona è a mio avviso un fiore all’occhiello e quindi lasciatemi illustrare un po cosa ho visto.

Per prima cosa si può dire che attorno all’inceneritore c’è un vero e proprio polo industriale del rifiuto. C’è una discarica con Lotti ancora aperti e funzionanti e Lotti invece che sono dedicati alla produzione di Biogas. In questi ultimi viene applicata una tecnica sperimentale in cui si inietta nella discarica dell’acqua (molto probabilmente non solo quella) per attivare il processo batterico e regolarizzarlo nel tempo. Con questa tecnica si produce in 8 anni il biogas che altrimenti verrebbe prodotto in 15.

C’è poi un digestore di grandi dimensioni per la produzione di biogas dai fanghi di depurazione dei reflui civili. Questo Biogas in parte viene utilizzato per auto riscaldare il digestore (e quindi aumentare la produzione) e parte viene convogliato, insieme a quello prodotto dalla discarica, a delle turbine per la produzione di energia elettrica.

C’è poi un impianto per la produzione di compost dalle frazioni umide. Compost che poi viene rivenduto nelle campagne confinanti e non solo.

Detto questo, dopo che è stato riutilizzato quasi la totalità dei rifiuti, rimane la parte non smaltibile che viene appunto incenerita nell’impianto principale. Non voglio illustrarvi ne i sistemi di abbattimento ne l’impianto stesso dato che ho fatto una piccola ricerca su internet e potrete saperne molto di più dai link che vi allegherò al termine del post. Voglio invece spiegarvi un po’ le sensazioni che mi ha fatto l’impianto.

Per prima cosa, miracolosamente, non puzza! io sono stato anche alla discarica dismessa di Giugliano e vi posso garantire sono stato male per 2 giorni, là no! L’impianto è in costante miglioramento, nonostante abbia un buon rendimento si vuole spingere ulteriormente gli abbattimenti di certi inquinanti e per questo si cerca di fare della sperimentazione per meglio controllare la combustione. Il CDR sminuzzato brucia in un reattore letto fluido dove appunto il tutto è mantenuto in movimento e può essere più facilmente monitorato.

Il clima è comunque quello di un azienda che si scontra con le esigenze economiche, i paletti sempre più stringenti delle ARPA, la voglia di investire soldi per migliorare il processo. La cosa che mi ha colpito di più è lo spirito imprenditoriale del nord, una visione a lungo termine che fa investire soldi in previsione di limiti futuri più bassi e non quando ormai le cose sono compiute e non si può far più nulla, come spesso capita al sud. In pratica nonostante l’azienda riesca a soddisfare i limiti imposti dall’ARPA si cerca un ulteriore miglioramento e questo mi ha fatto piacere.

Detto questo non voglio entrare in merito sull’efficienza o la bontà dell’impianto, se è giusto o meno bruciare i rifiuti dico solo che effettivamente esistono degli esempi da prendere in considerazione. L’inceneritore ad Acerra al centro di tante polemiche è sempre meglio dei rifiuti bruciati in mezzo alla strada? in linea di principio direi di si! però si potrebbe, e si dovrebbe, tendere a una razionalizzazione dei rifiuti inceneriti e fare come a Corteolona dove solo una parte viene incenerita il resto degradato biologicamente.

In conclusione è sbagliato secondo me pensare all’inceneritore di Acerra come una scelta definitiva ed immutabile, dovrebbe invece essere vista come una soluzione transitoria che ci permette di tirare un po il respiro il tempo necessario a riassettare il ciclo dei rifiuti in Campania e mettere in piedi una differenziata di eccellenza.

Buon anno,
Christian

Di seguito alcuni link interessanti:

La centrale a CDR di Corteolona
Contributi impianti Ecodeco al raggiungimento del obbiettivi 1
Contributi impianti Ecodeco al raggiungimento del obbiettivi 2

Le promesse durano solo sei giorni: a Taverna del Re si continua a scaricate (InterNapoli)

Lo leggiamo su InterNapoli, ma ne eravamo certi. Dal sito di informazione dell’hinterland a nord di Napoli:

A distanza di appena sei giorni dalla chiusura,  il sito di stoccaggio di ecoballe di Taverna del Re apre di nuovo i battenti. L’attivita’ di conferimento di balle dagli impianti di combustibile da rifiuti nel sito era stata conclusa lo scorso 20 dicembre, rispettando gli impegni presi con i cittadini dal commissario Alessandro Pansa, che si era riservato pero’ di riutilizzare “Taverna del Re” in caso di aggravamento nella crisi dello smaltimento rifiuti nella regione. E, viste le continue proteste che hanno impedito di creare le discariche provinciali necessarie e la mancata indicazioni di siti di stoccaggio provvisorio da parte di molti enti locali campani, il Commissariato riapre il sito giuglianese per pochi giorni, in attesa dell’ultimazione nei lavori di allestimento del sito sannita di Casalduni, che dovrebbe essere pronto per i collaudi gia’ domani. Il sindaco di Giugliano, Francesco Taglialatela, in un comunicato annuncia che si opporra’ “in tutte le sedi giudiziarie contro questo nuovo provvedimento “come abbiamo sempre fatto”. Il commissariato per l’emergenza rifiuti in Campania, ha inviato via fax al Comune di Giugliano alle 19.24 del 24 dicembre scorso, l’ordinanza di riapertura dove viene specificato che «fino al 31 dicembre prossimo, le piazzole di Taverna del Re dovranno ospitare le ecoballe dei Cdr di Giugliano e Caivano». Il primo carico di rifiuti è stato lasciato ieri mattina all’alba. Circa quindici tir hanno varcato la soglia dell’impianto, scortati dalle forze dell’ordine. Nelle prime ore del pomeriggio, i manifestanti del presidio permanente di Taverna del Re si sono riuniti all’ingresso del viale che conduce al sito, dove hanno trovato ad attenderli gli agenti della polizia. Tanta la delusione tra i manifestanti che in serata hanno occupato la stazione ferroviaria di Aversa. I manifestanti, alcune decine, hanno occupato i binari provocando ritardi, peraltro considerati contenuti da Trenitalia, ad alcuni treni in transito che hanno dovuto rallentare la loro corsa. I manifestanti hanno poi abbandonato pacificamente la stazione.

C.V.D.

InAmbienTe vi augura buone feste e vi segnala une interessante iniziativa: fiaccolata per una corretta gestione dei rifiuti.

La notizia ci arriva da una segnalazione dell’AS.S.I., e la troviamo sul sito degli “amici di Beppe Grillo di Napoli” i quali hanno pensato di festeggiare il Natale con una fiaccolata per sensibilizzare e tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema dei rifiuti. La manifestazione si terrà Domenica 26 Dicembre a Napoli. Questo il comunicato ufficiale:

Viviamo un pomeriggio speciale, rendiamoci visibili alla città e proviamo a coinvolgere pù persone possibili : questa è l’occasione ideale per far partecipare i nostri familiari e amici.

Anche Alex Zanotelli sarà con noi.

Portiamo una candela ognuno e chi può qualche cartellone da appenderci al collo.

Vogliamo una gestione dei rifiuti partecipata, senza combustione, che parta da una riduzione dei consumi e degli imballaggi, che arrivi ad una raccolta differenziata con altissime percentuali di materiali da riciclare e che soprattutto non passi sopra le teste dei cittadini.

Rialziamole queste teste…..

Per maggiorni informazioni vi consigliamo di collegarvi al sito degli Amici di Beppe Grillo di Napoli.

InAmbienTe vi augura Buone Feste.

La paralisi campana e l’impianto ecologico veneto (Corriere della Sera)

Inceneritori. Se Napoli copiasse Venezia. Mentre in campania è paralisi nel veneto si costruisce un impianto modello nel trattamento dei rifiuti.

Dal  Corriere della Sera

Riuscirà Babbo Natale a raggiungere tutti i bambini facendosi largo con la slitta tra montagne di spazzatura? Ecco il dubbio di tanti piccoli napoletani. I quali, oltre al gran freddo che il buon Gesù ha mandato loro a rendere meno fetida l’aria, avrebbero diritto ad avere in dono un po’ meno di ipocrisia. Cosa ci hanno raccontato, per anni e anni? Che il pattume partenopeo, ammucchiato senza uno straccio di raccolta differenziata così com’è («tale quale», in gergo) non può essere trattato, ripulito, riciclato, trasformato in combustibile e bruciato.

Falso. Succede già. A Venezia. Dove lo stesso tipo di immondizia viene smaltito senza problemi dal pù grande impianto europeo di Cdr (Combustibile Derivato dai Rifiuti) che manda in discarica solo il 6% di quello che arriva coi camion e le chiatte. E dov’è l’inceneritore? Dov’è questo mostro orrendo le cui fiamme fanno inorridire i campani che da anni, dipingendosi già avvolti dai fumi neri della morte, si ribellano all’idea di ospitarne qualcuno? A tre chilometri dalle bancarelle del mercato di Marghera. A cinque da Mestre. A otto dal campanile di San Marco. Senza che nessuno, neppure il gruppuscolo ambientalista pù duro e puro e amante delle farfalle, abbia mai fatto una manifestazione, un corteo, una marcetta, un cartellone di protesta. Prova provata, se ancora ce ne fosse bisogno, che sotto il Vesuvio sono troppi a giocare sporco.

Pare una clinica, l’impianto in riva alla laguna, ai margini di Marghera. La bolzanina «Ladurner» l’ha costruito (dal primo scavo nel terreno al fissaggio degli interruttori elettrici) in dodici mesi. Contro i millenni necessari, non per l’indolenza delle persone quanto per la rete di veti e ricatti, nella sventurata Campania che, stando ai dati Apat, rappresenta da sola il 43% del territorio italiano inquinato dallo smaltimento scriteriato, o addirittura criminale, della «munnezza». Impianto pulito. Silenzioso. Efficiente. Apparentemente quasi deserto. «Quanti dipendenti? Meno di un centinaio. Al Cdr, su tutto il ciclo, 28 persone», spiega Fiorenzo Garda, dell’azienda altoatesina. Sei in meno di quanti bivaccano al call-center napoletano del Pan (Protezione ambiente e natura) dove, stando al rapporto della commissione parlamentare, ogni centralinista riceve mediamente una telefonata a testa alla settimana.

Ventotto persone che, scivolando tra capannoni, rampe e officine, ricevono ogni giorno i rifiuti urbani di Venezia (comprese Mestre, Marghera, le isole), Chioggia e larga parte della Riviera del Brenta per un totale di 300mila persone. Meglio: per un totale equivalente a una popolazione di 300mila abitanti. La Serenissima è infatti una città speciale per almeno due motivi. Il primo è che, scesa nei decenni a 50mila residenti, accoglie ogni anno quasi 20 milioni di turisti (meglio: 20 milioni di presenze giornaliere, per una media di circa 55mila abitanti supplementari al giorno con punte di 150mila) ai quali è praticamente impossibile imporre la raccolta differenziata. Il secondo è che un conto è portar via la campana della carta e del vetro coi camion in terraferma (dove la «differenziata» sta mediamente al 45%) e un altro con le barche nei canali.

Risultato: le «scoasse» veneziane sono uguali alla «munnezza» napoletana. Con pù nero di seppia e meno pummarola, ma uguali. E infatti, caricate sulle barche a da lì trasbordate su enormi chiatte alle spalle della Giudecca, quando arrivano alle banchine di Marghera potrebbero essere perfettamente confuse con quelle che vengono scaricate dai camion nelle fosse dantesche degli impianti partenopei. È lì che i destini si dividono.

I rifiuti campani, in attesa dei termovalorizzatori (quello di Acerra che doveva essere acceso a ottobre, dopo 14 anni dalla prima dichiarazione di emergenza, è bloccato dall’inchiesta dei giudici e i lavori per quello di Santa Maria La Fossa devono ancora cominciare) vengono imballati alla meno peggio e ammassati in gigantesche piramidi su terreni comprati a prezzi sempre pù folli, con misteriosi rincari anche del 500% in dodici ore. Piramidi che ormai stoccano sette milioni di tonnellate di «ecoballe» (che «eco» non sono) le quali potrebbero, se allineate, coprire la distanza che c’è da Parigi a New York. Una situazione esplosiva. Che costringe da anni i commissari via via nominati a recuperare nuove discariche (l’ultima è a Serre, a 102 chilometri dal capoluogo campano e per farla hanno buttato gù centinaia di querce) o a riaprirne di chiuse sfidando la collera degli abitanti. Collera spesso accesa dalla camorra, che vede a rischio i suoi affari. Che si nutrono proprio dell’emergenza campana. Costata fino ad oggi almeno un miliardo e duecento milioni di euro. I rifiuti veneziani no, quelli i soldi, agli azionisti pubblici, li fanno guadagnare. Dice Gianni Teardo, responsabile tecnico degli impianti, che quest’anno il complesso di Marghera, costato 95 milioni di euro (un dodicesimo dei soldi spesi in Campania) va in attivo. Spiegare come la spazzatura venga «bollita» per una settimana in enormi cassoni («biocelle»), asciugata, sminuzzata, passata al setaccio per separare quello che può essere riciclato tra i metalli, la plastica o la carta, sarebbe lungo. Basti sapere che, mettendo insieme questo lavoro con quello a monte della raccolta differenziata e poi una seconda e una terza operazione di filtraggio, l’impianto veneziano si vanta di mandare in discarica nell’entroterra di Chioggia solo il 6% del pattume trattato. Che dovrebbe essere ridotto entro un paio di anni al 3%. «Anche se puntiamo a ridurlo ancora, fino ad azzerare il ricorso alla discarica ».

Ferri, plastiche e carta vengono venduti sul mercato. La metà del Cdr prodotto e compattato in «brichette» simili a corti bastoncini è ceduto all’Enel che lo brucia al posto del carbone per fare energia. Tutto ciò che può essere usato allo scopo diventa «compost» per fecondare i terreni troppo sfruttati e in fase di desertificazione. E quel che resta, infine, viene bruciato.

Direte: oddio, vicino a Venezia! Esatto: in faccia a Venezia. Senza una protesta. Sotto il controllo dell’Arpav. Con un rapporto giornaliero sui fumi emessi. E sapete cosa salta fuori, a vedere i dati certificati dalle autorità sanitarie? Che un inceneritore di ultima generazione come quello veneziano, tra filtri e controfiltri, sta molto al di sotto dei limiti fissati, che sono da cinque a quindici volte pù rigidi rispetto a quelli delle centrali termoelettriche o dei cementifici. Ma c’è di pù. Fatti i conti, quel camino che smaltisce ciò che resta dei rifiuti di 300mila abitanti butta nell’aria ogni ora circa 60mila milligrammi di polveri. Pari a quanti ne escono, stando alle tabelle Ue, dai tubi di scappamento di quindici automobili di tipo Euro2. Per non dire di quelle pù vecchie, che inquinano infinitamente di pù. Direte: e se queste polveri fossero pù aggressive? Massì, esageriamo: ogni camino come quello di Marghera inquina come una cinquantina di auto Euro2. E sapete quante ce ne sono, in Campania, di auto così o pù vecchie e inquinanti? Oltre 2 milioni e 200mila. Pari a 44mila inceneritori come quello di Marghera.

Gian Antonio Stella
22 dicembre 2007

Nasce una collaborazione tra InAmbeinTe e AS.S.I. (ASsociazione Studenti Ingegneria).

In settimana siamo stati contattati, per un incontro, da Marco Race, neo-presidente del consiglio degli studenti di ingegneria della Federico II di Napoli nonché vice presidente di AS.S.I. (ASsociazione Studenti Ingegneria). Non ci siamo fatti scappare l’occasione e ieri (21/12/2007 N.d.R.) ci siamo incontrati nella loro sede per fare due chiacchiere e per mettere in contatto le nostre realtà. Dall’incontro è nata una collaborazione che, speriamo, possa essere l’inizio di un nuovo percorso.

Chi non conosce l’AS.S.I. può trovare tutti i riferimenti sul loro sito (http://www.assingegneria.it/), l’associazione, nata circa tre anni fa, conta pù di mille iscritti e promette di crescere sempre di pù puntando ad essere un vero punto di riferimento per tutti gli studenti di ingegneria napoletani. Inoltre, l’iscrizione è gratuita e questo ci fa molto piacere, visto lo spirito con cui InAmbienTe promuove le proprie iniziative divulgative. Questo, ed altri fattori, ci hanno spinto ad accettare molto volentieri una collaborazione.

Insieme a Marco abbiamo incontrato anche Luigi Napolitano, socio fondatore e presidente di AS.S.I. che si dice entusiasta del loro percorso di crescita e ci anticipa che presto nascerà anche un progetto per il post laurea. Insomma, tante idee, tante capacità organizzative ed un ottimo staff di ragazzi fa di AS.S.I. un vero servizio aggiunto della facoltà. La loro sede si trova al triennio della facoltà di Ingegneria partenopea (salite le scale mobili e girate a sinistra), in un aula che fino ad un anno fa era autogestita (occupata) da un gruppo di studenti e che ora, ripulita e rinnovata, viene usata dai ragazzi dell AS.S.I. come sede e come aula studio.

Speriamo che i frutti della collaborazione si possano manifestare presto. Vi invitiamo a visitare il loro sito e ad incontrarli nella loro sede.

Chiude Taverna del Re, l'area di stoccaggio delle eco-balle.

Da InterNapoli: 

«A fare data dalle ore 22 del 20 dicembre 2007 i rifiuti tritovagliati e compressi prodotti dagli impianti di Cdr presenti sul territorio campano non saranno conferiti presso il sito di stoccaggio di “Taverna del Re” a Giugliano». Lo riferisce una nota del Commissariato per l’emergenza rifiuti in Campania in cui si ribadisce che il commissario Alessandro Pansa «conferma quindi il contenuto dell’impegno preso con i cittadini dell’area giuglianese che prevedeva il fermo sostanziale dei conferimenti, salvo situazioni di eccezionale gravità». Il commissario sottolinea, inoltre, «come il suddetto sito sia stato sottoposto nella giornata di oggi alla visita degli ispettori dell’Asl che hanno constatato l’avvenuta totale messa in sicurezza dei luoghi e il completo rispetto delle prescrizioni ordinate dal Tribunale di Napoli. Lo stop al conferimento – spiega ancora la nota – segue la copertura delle isole di stoccaggio nei tempi indicati ai cittadini ed è la conferma di quanto risulti proficuo la creazione di un rapporto con la popolazione all’insegna della trasparenza».

Hanno atteso la chiusura dei cancelli del sito di stoccaggio di Taverna del Re facendo festa intorno a un falò. Una cinquantina di manifestanti ha salutato così, sotto l’occhio discreto di pochi agenti di polizia, la decisione del commissario per l’emergenza rifiuti in Campania Alessandro Pansa di chiudere alle 22 di oggi l’area dove per circa due anni sono state stoccate circa due milioni di ecoballe di rifiuti. Un lungo applauso ha salutato poco prima delle 22 l’uscita dell’ultimo camion che aveva scaricato i cubi maleodoranti di spazzatura impacchettata proveniente dai sei impianti di ex cdr in attività nella regione. I manifestanti hanno offerto vino, birra e funghi ai camionisti giunti per l’ultima volta nel sito alla periferia di Giugliano.

Un piccola riflessione. Cantare vittoria, prendersi meriti, fare il falò, offire birra e vino, tutto ciò può anche andare bene, anzi va benissimo. Giornata memorabile e da segnare in rosso sul calendario per gli anni a venire. Per chi vive in Festeggiamenti a taverna del requesta zona (giuglianese N.d.A.), la chiusura dell’area di stoccaggio pù famosa in Europa è un giorno speciale, ma forse non è la vittoria definitiva. Milioni di ecoballe giacciono inermi e incontrollate a pochi passi dalla popolazione e dalla natura un tempo incontaminata, l’obbiettivo ora deve essere risanare e bonificare quella zona. La vittoria si concretizzerà quando a Taverna del Re si rivedranno le mele annurche, le albicocche, le prugne, le pesche; quando si rivedranno i contadini nei campi, quando si risentirà il canto del raccolto. Insomma, la vittoria va festeggiata alla fine, altrimenti si finisce per accontentarsi di poco. Giornata memorabile, insomma, ma non la fine di un incubo.

IL MATTINO: Mille euro di risarcimento danni ai cittadini colpiti dall'emergenza rifiuti.

Mille euro come risarcimento danni ai cittadini colpiti dall’emergenza rifiuti. Li pagheranno il Comune di Napoli e l’Asìa che sono stati condannati dal giudice di pace a un risarcimento di 1.032 euro nei confronti di una serie di cittadini che lamentavano le conseguenze dell’emergenza, e protestavano per l’imposizione della tassa comunale sulla spazzatura nonostante i disservizi. La sentenza è firmata dal giudice Raffaele Oliviero, della prima sezione civile. Oliviero accoglie le proteste dei ricorrenti, attribuendo al Comune e all’Asìa la responsabilità per la grave situazione dei rifiuti in città.

Il giudice di pace, inoltre, sottolinea che a Napoli viene imposta la tassa sulla raccolta della spazzatura ma senza garantire ai cittadini il corrispondente servizio. La decisione finale è di condannare il Comune e l’Asia per i danni – compresi quelli «morali ed esistenziali» – quantificati in 1.032 euro. Al primo ricorrente, Gastone Spagna, si sono associati durante il giudizio altri cittadini. A rappresentarli è stato l’avvocato Angelo Pisani, presidente di Noiconsumatori.it. E del resto il regolamento comunale, entrato in vigore il primo gennaio 2005, prevede il taglio del 40 per cento in caso di violazioni al regolamento di servizio. Pù esattamente, l’articolo recita: «Nel caso in cui il servizio, sebbene istituito ed attivato, non venga svolto o venga svolto in grave violazione di quanto stabilito nel regolamento del servizio di nettezza urbana (in merito alla distanza, capacità dei contenitori ed alla frequenza della raccolta), la tassa è dovuta nella misura pari al 40% della tariffa».

Notizia pubblicata da IL MATTINO di Napoli.

Un precedente che farà sicuramente piacere a tutti i cittadini che intendono fare causa al sistema della raccolta dei rifiuti campano. Per maggiori informazioni sulle azioni legali contro l’emergenza rifiuti ecco due link interessanti:

Non tutti i mali vengono per nuocere: dallo sciopero dei tir 700mila tonnellate di CO2 in meno.

Io l’ho vissuta male, lo scipero dei tir mi ha danneggiato e non poco. Senza benzina, con l’autostrada bloccata lavorare per me è stato impossibile e se non lavoro non guadagno e se non guadagno non si mangia e se non si mangia… Insomma, tre giorni di blocco, tre giorni di problemi, ma non per l’ambiente. L’Apat, durante lo sciopero, ha effettuato un monitoraggio dei gas serra e ne è emerso un risoltato notevole: “700 mila tonnellate di emissioni di CO2 in meno”.

Il dato è stato mostrato da Giancarlo Viglione, commissario straordinario dell’Apat, durante la presentazione dell’annuario dei dati ambientali 2007 oggi a Roma. L’effetto non è solo frutto del blocco e quindi della ridotta percentuale di automobili e camion sulle strade ma anche della riduzione delle vendite di petrolio. “In quattro giorni - ha affermato Viglione – secondo l’unione petrolifera sono state vendute 230 mila tonnellate di combustibile liquido in meno”.

sciopero tirAvere una simile riduzione dei gas serra è un risultato notevole, considerando che in media la produzione settimanale in Italia proveniente dal settore trasporti (di tutti il settore, non solo quello su strada) è di 2,3 milioni di tonnellate di CO2 . Ridurre del 25% – 40% il traffico comporterebbe un abbattimento delle emissioni di anidride carbonica tra 0,6 e 0,9 milioni di tonnellate di CO2.

Sul fronte della produzione di gas serra, l’annuario Apat 2007 conferma comunque un inversione di tendenza rispetto agli ultimi 15 anni. ”La diminuzione dell’1,5% nelle emissioni di gas serra per l’Italia nel 2006 – ha spiegato Viglione – non ci risulta la conseguenza di elementi congiunturali, ma sistemici. In particolare è possibile che nuove politiche in materia di mobilità sostenibile previste dalla scorsa Finanziaria comincino a dare frutti”.

L’analisi appena fatta non può cancellare una situazione che risulta essere molto negativa sul fronte inquinamento in Italia. Meglio, incece, per quanto riguarda la natura. Fiumi, laghi e boschi si guadagnano la sufficienza, incendi a parte. Per maggiorni informazioni clicca qui.

Disponibile su sito di La7 il video della puntata di Reality. Ci stanno ammazzando:InAmbienTe aderisce al progetto.

Domenica scorsa (16 Dicembre), durante “Reality”, il programma di approfondimento di La7, si è parlato di diossina, tumori, e monnezza a Napoli. Chi non ha avuto la possibilità di seguire la trasmissione può vedere il bellissimo servizio mandato in onda sul sito di La7 (video).

Dal sito. In primo piano il disastro ambientale in Campania dove per anni la camorra ha sversato nel terreno rifiuti tossici e industriali. Per ora ad Acerra è strage di pecore, ma i livelli massimi di diossina sono stati riscontrati anche fra i pastori del luogo. E a Natale rischia di riaccendersi l’ “emergenza-munnezza”: il 20 dicembre chiuderà infatti la discarica di Giugliano e la periferia di Napoli è già al collasso.

Inoltre vi segnaliamo una iniziativa di un blogger alla quale ci ha fatto piacere aderire: “Ci stanno ammazzando“. Ne siamo venuti a conoscenza tramite un commento che l’ideatore ha inserito nel nostro blog, se ne parla anche nel servizio di La7. Per qualche giorno noterete un piccolo banner in alto a destra. Un gesto simbolico ma importante.

Rete Idrica, il dimensionamento.

Premessa. Come promesso, dalla versione 3.0beta del sito ci diletteremo a digitalizzare alcuni appunti faticosamente presi durante i corsi, in modo da dare qualche indicazione a chi è all’inizio della preparazione o, magari, a chi è in fase di ripetizione. Ci piace iniziare con un argomento molto delicato che è stato ampliamente trattato in un famoso post presente nel forum: l’esame di infrastrutture idrauliche.

Una delle caratteristiche dell’esame di Infrastrutture Idrauliche è la realizzazione di un progetto che prevede, tra le altre cose, il dimensionamento della rete idrica di un centro abitato. L’obbiettivo di questo articolo e quello di affrontare, in maniera molto marginale, gli aspetti analitici e progettuali per riuscire a dimensionare una rete idrica interna. Vedremo:

  1. Come determinare la porta di distribuzione;
  2. Gli schemi di funzionamento;
  3. Come tracciare la rete.

Introduzione. Lo schema di un sistema acquedottistico prevede una serie infrastrutture idrauliche come viene mostrato in figura.

Figura 1

Fig 1 – schema acquedottistico

Nell’ordine troviamo:

  1. Opera di captazione;
  2. Opera di adduzione tramite l’acquedotto esterno;
  3. Serbatoio di testata;
  4. Condotta di avvicinamento;
  5. Rete di distribuzione.

Portata di distribuzione. Di norma, calcolare la portata da distribuire, è il primo problema che si affronta, assunto che sia nota la quota del serbatoio di testata e che ci siano le condizioni per poter posizionare il serbatoio. Analizzando il sistema in fig.1, abbiamo un acquedotto che convoglia una portata costante, che andrà ad accumularsi all’interno del serbatoio di testata, a valle di questo c’è la rete idrica che attinge dal serbatoio evidentemente con una portata non costante. Ciò è possibile perché in fase di progettazione del serbatoio si prevede sia il volume di invaso della portata media giornaliera sia un volume di compenso (c’è anche una terza aliquota: il volume di incendio), quindi il serbatoio, essendo alimentato con una portata media ed erogando una portata variabile riesce a non saturare grazie al volume di compenso. In pratica accumula nelle ore notturne e svasa nelle ore di richiesta maggione (le ore di punta). Per determinare la portata media che la rete idrica interna richiede al serbatoio si possono seguire diverse vie: una prevede l’utilizzo di formule analitiche, mentre un’altra prevede la consultazione di specifici documenti urbanistici. Per seguire il persorso analitico, dobbiamo utilizzare una formula che permette di conoscere, noto il numero di abitanti, la quantità di acqua da erogare. Tale formula utilizza un coefficiente [f] che è il fabbisogno idrico procapite espresso il litri per abitante al giorno [l ab / d].

(1) Qm[l/d] = f Nab

Nota la portata media, tramite un coefficiente di punta, anch’esso funzione del numero di abitanti, determiniamo la portata di punta.

(2) Cp = 20 / Nab²

(3) Qp = Cp Qm

Il percorso che prevede la consultazione di documenti urbanistici si avvale delle informazioni contenute all’interno del P.R.G.A (Piano Regolatore Generale degli Acquedotti).

Dopo aver determinato la Qp (anche detta Qmax) la dobbiamo confrontare con la portata di incendio [Qinc] che viene fissata a 15 l/s. Se la Qmax è < Qinc, allora la portata massima va incrementata fino a 15 l/s.

Oltre alle condizioni di funzionamento al presente, vanno sempre previsti eventuali sviluppi futuri della rete idrica. Basta ricavare dei dati statistici sulla popolazione prevista nel giro di qualche decennio, ed in base a questa calcolare una portata integrativa.