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Articoli e Posts del blog di InAmbienTe – Il portale degli studenti di ingegneria.

"Navi a perdere" sui fondali della Calabria. A Cetraro trovato un relitto con a bordo rifiuti tossici radioattivi.

Era da alcuni giorni che sentivo parlare di una fantomatica nave sui fondali cosentini di Cetraro e stamattina, sul Messaggero, ho letto che la nave è stata trovata. Purtroppo, il sospetto degli inquirenti è che la nave sia una “nave a perdere” affondata dalla ‘ndrangheta con a bordo rifiuti tossici o, addirittura, radioattivi. Il procuratore della Repubblica, Bruno Giornano, sembra non evere dubbi e già sta facendo in modo di analizzare i resti del relitto per capirne di pù.

Il sospetto non nasce solo dall’intuito del procuratore ma dalle recenti dichiarazioni di un pentito, Francesco Fonti, che ha raccontato ai magistrati di aver personalmente affondato una nave, il Crisky, con a bordo numerosi fusti tossici e radioattivi. Proprio sulla base di tali dichiarazioni, Giorndano, in collaborazione con l’Arpacal e con l’utilizzo di uno speciale robot in grado di fare riprese subacquee, ha rintracciato e fotografato il relitto che presenterebbe uno squarcio su di un fianco dal quale si intravedono i fusti tossici ma del quale non è possibile leggere il nome.

«Finora – ha detto Giordano – si sono solo fatte supposizioni, ipotesi, ma ora abbiamo la conferma della presenza del mercantile. È un forte aggancio da cui partire».

Un anno fa l'annuncio: dal MIT di Boston arriva un catalizzatore che permette l'uso economico ed efficiente dell'energia fotovoltaica.

Se vi dicessi che sfruttare l’energia solare di giorno e di notte è possibile, cosa pensereste di me? Forse che sto delirando? In effetti il dubbio mi viene ma, se torniamo indietro di un anno ed ascoltiamo il resoconto dell’invenzione di Daniel Nocera del MIT di Boston, allora cominciamo a credere che la cosa sia fattibile: soprattutto perché economica.

Nocera, insieme ad un suo collaboratore Matteo Kanan, non fa altro che applicare quello che in natura avviene ogni giorno: la fotosintesi. In pratica, grazie ad un piccolo reattore, riesce a scindere l’acqua in idrogeno ed ossigeno, rendendo semplice ed economico immagazzinare l’energia per poi utilizzarla quando meglio ci aggrada. A monte della scoperta ci sono almeno dieci anni di ricerca in quella che viene definita dallo stesso Nocera: “fotosintesi artificiale”, che vuole imitare il processo naturale che permette alla vegetazione di immagazzinare l’energia in legami chimici. In pratica, l’apparecchiatura messa a punto permette l’immagazzinamento dell’energia nell’idrogeno scisso dall’acqua, in modo semplice ed economico. Se a questa appareccchiatura, si affiancano gli sforzi di aziende (come la First Solar) che stanno costruendo pannelli solari senza silicio a costi dimezzati, si può davvero immaginare un futuro roseo per l’energia solare in generale.

Ovviamente, oltre all’utilizzo combinato con l’energia fotovoltaica, il catalizzatore messo a punto da Nocera e Kanan è un ottimo strumento per la produzione di idrogeno come carburante nelle auto di nuova generazone.

Il funzionamento dell’impianto è molto semplice e vive di due fasi: giorno e notte. Di giorno, dai pannelli solari si produce l’energia necessaria ad alimentare la nostra abitazione, l’energia prodotta in eccesso, invece, serve a scindere gli atomi di idrogeno ed ossigeno dall’acqua immagazzinati in apposite celle; di notte, si ha la ricomposizione della molecola di acqua con susseguente produzione di energia che potrà essere sfruttata per le nostre esigenze notturne. È ovvio che la fonte energetica primaria non deve essere per forza il solare, infatti anche l’energia figlia dell’eolico o di qualsiasi altra fonte andrebbe bene.

L’apparecchiatura è composta da un nuovo catalizzatore che utilizza un elettrodo di Cobalto e Fosforo immerso in acqua e permette la produzione di ossigeno, un secondo catalizzatore permette la produzione di idrogeno. L’impianto di Nocera, a differenza dei suoi simili, è molto semplice da realizzare ed estremamente economico. Infatti, come dice lo stesso Nocera, “il problema non è saper scindere l’acqua (cosa che sappiamo già fare), ma cercare un metodo che sia economico e semplice da installare in un’abitazione. Se ciò è possibile e se associato al fotovoltaico di nuova concezione, si può massimizzare la quantità di energia ricavabile rendendo, di fatto, molto conveniente ed utile l’uso del solare come energia di massa.

Mezzo miliardo di persone vive alle pendici di vulcani attivi, la Campania è la regione europea più esposta al rischio vulcanico.

Fino a qualche anno fa, da casa mia riuscivo a vedere distintamente uno tra i vulcani pù affascinanti della terra: il Vesuvio. Con in tempo, haimé, visto il proliferare delle costruzioni che ci sono state nella zona tra Villaricca e Giugliano in Campania, un bel po’ di edifici mi impediscono di osservare questo nostro gigante buono. Ma quanta gente si trova proprio intorno al nostro amato vulcano? E in che rapporto siamo rispetto alle altre comunità che vivono alle pendici di questi mostri della natura? La risposta l’ho trovata sul sito Ricarca Italiana, portale della ricerca gestito e promosso dal Ministero dell’Università e della Ricerca.

La popolazione mondiale che vive alle pendici di vulcani attivi si aggira intorno al mezzo miliardo di persone, non male direi. Molti di questi si trovano proprio in Europa, ad esempio alle pendici del vulcano Soufriere in Francia oppure del vulcano Teide in Spagna o le 75.000 persone che vivono ai piedi del vulcano Sete Citades nelle isole Azzorre. Ma qual è la situazione italiana? Ci sono gli esempi dell’Etna, dove le numerose ed affascinanti eruzioni attirano molti turisti, e del vulcano Stromboli. Ma pochi di voi sapranno (io non lo sapevo, ma lo si poteva immaginare) che la regione europea pù esposta al pericolo derivato da una eruzione è quella del vesuviano, sia per l’elevata densità abitativi che si ha sia per l’elevata pericolosità del Vesuvio.

Per noi che lo vediamo tutti i giorni, per la gente che vede il Vesuvio come emblema della città e parte integrante del comune vivere partenopeo, immaginarlo come un pericolo o come un nemico è davvero difficile. Basati solo ricordare, però, che nel 79 d.C., una sua eruzione è stata capace di radere al suolo città come Pompei, Ercolano e Stabia, oggi densamente abitate. Non utlime le eruzioni del 1631, con le sue 4.000 vittime e quella del 1944 che ha, di fatto, tappato il suo cratere ma non ha certo annullato la sua attività. In pratica, oggi, il Vesuvio fa finta di essere morto, dorme di un sonno profondo ma non eterno.

Valutare scientificamente il rischio vulcanico in zone densamente popolate è sicuramente un impegno importante per i ricercatori, ma anche per le regioni e le nazioni interessate. Poter calcolare il rischio per la popolazione, prevedere in tempo le eruzioni, saper fronteggiare eventuali emergenze, è divenuta una priorità per tutelare la sicurezza dei cittadini e dell’ambiente circostante.

A questo fine, nove partner Europei, che includono Istituti di Ricerca, Università, Osservatori Vulcanologici e Imprese di cinque Paesi (Italia, Gran Bretagna, Spagna, Francia e Portogallo), hanno dato vita al Consorzio EXPLORIS, un progetto triennale finanziato dall’Unione Europea, che combina competenze di diverse discipline. Esperti di Geologia, Fisica, Matematica, Informatica, Ingegneria, Architettura, Medicina e Analisi del Rischio si sono riuniti in questo progetto, che rappresenta un’opportunità unica per accrescere le capacità Europee di valutazione del rischio vulcanico.
Per il Vesuvio – su cui è stata prodotta anche un’interessante simulazione tridimensionale dell’eruzione – gli studi di EXPLORIS porteranno, una volta conclusi, un progresso nello sviluppo di strumenti e metodologie per pianificare le emergenze e ridurre i rischi di catastrofi, agevolando così l’importante lavoro del Governo e della Protezione Civile Nazionale e Regionale. Ma a beneficiare di questi nuovi metodi e strumenti saranno anche gli altri Paesi del mondo in cui ci sono vulcani attivi. EXPLORIS mira quindi a rappresentare una piattaforma internazionale e multidisciplinare in grado di garantire supporto e consulenza alle decisioni che le autorità preposte devono prendere per una efficace pianificazione territoriale e gestione dell’emergenza.

Noi ci auguriamo che il progetto di ricerca possa davvero essere utile ai tanti cittadini che condividono le notti con il nostro gigante buono. Peccato, però, non averci pensato prima.

Energie alternative e metodi alternativi di applicazioni: si può davvero fare?

Nel mostrarvi e presentarvi la nuova versione grafica di InBlog, che vuole tratteggiare una linea immaginaria comune tra gli altri due elementi nel nostro network quali Ingegneria Sanitaria e Ingegneria Chimica Ambientale, voglio parlare dei metodi alternativi ed innovativi per incentivare ed utlizzare le energie alternative.

Avvicinarsi alle energie pulite e rinnovabili, oggi, presuppone un notevole sforzo sia tecnologico che economico, ma ci sono numerose applicazioni che ne consentono la diffusione quasi senza lasciare traccia, basti pensare ad alcuni lampioni stradali in zone isolate, spesso alimentati da pannelli solari.

Un accordo tra l’Enel ed una nota società di finanziamenti italiana, permetterebbe di autofinanziarsi un piccolo impianto eolico che può essere installato in villette, piccoli parchi o agriturismo. La notizia, che ho letto su lavorincasa.it, mi lascia favorevolmente colpito perché mira a sviluppare un sistema di distribuzione dell’eolico anche se mi lascia perplesso sulla qualità dell’energia prodotta.

Gli aerogeneratori dovrebbero essere di piccola taglia (qualche chilowatt) ed hanno dimensioni contenute, si prestano ad essere installati ad altezze contenute (6-9 m). Quelli di taglia pù elevata (oltre 50 chilowatt) possono necessitare di altezze di posizionamento dal suolo pù impegnative (oltre 30 m).

Da quanto si legge su lavorincasa, sembra che tutto sia semplice ed economicamente vantaggioso, considerando che un impianto costa circa cinquemila euro facilmente ammortizabili, qualche perplessità, però può essere facilmente sollevata. Infatti, per un simile impianto dal costo di 5.000 euro che produce circa 300 kWh per ogni anno (se tutto va bene) ed ha un costo di 50 euro l’anno il ripagamento sarebbe di 0,30 euro per ogni kWh prodotto. Volendo fare due calcoli, si può dire che il recupero economic in un anno sarebbe:

300 kWh * 0,30 = 90 euro – 50 euro di manutenzione = 40 euro l’anno;

per ammortizzare la cifra ci vorrebbero:

5000 euro / 40 euro annui = 125 anni !!!

Come vedete, anche se l’importo è limitato, se lo si volesse ammortizzare ci vorrebbe un bel po’ di tempo, senza considerare che nel giro di una ventina di anni, un simile impianto è praticamente inutilizzabile.

Un discorso diverso si può fare per il solare, che ha un sistema tecnoloigico pù semplice da installare e da utilizzare, anche se costoso e con basso rendimento. Le principali applicazioni su piccola scala si posso trovare in numerosi progetti futuristici (ma non proprio) che vorrebbero cellulati solari e pannelli solari al posto dell’asfalto sulla strade. Il primo progetto già realizzato e già disribuito ha permesso la diffusione del cellulare in Kenia tramite l’azienda produttrice safaricom. L’apparecchio in questione non è altro che un normale cellulare con un pannello solare sul retro, distribuito al costo di circa 30 euro. Anche in questo caso si possono sollevare alcune critiche: basti pensare al fatto che il cellulare deve essere esposto al sole, basterebbero poche settimane per distruggerlo.

Per il secondo progetto, che vedo di difficile realizzazione, vede la sostituzione del normale asfalto con pannelli solari che svilupperebbero 7,6 kWh e che, per ogni miglio permetterebbero la produzione di energia per soddisfare i bisogni di 500 abitazioni. Oltre alla produzione di energia, i pannelli avrebbero anche la funzione di riscaldar la strada, impedendone il congelamento e, con l’inserimento di LED, si potrebbe anche illuminare le strisce per consentirne un migliore e pù sicuro utilizzo. Il costo di ogni pannello dovrebbe aggirarsi intorno ai 7.000 dollari.

Transition Town: città che del petrolio non hanno cosa farsene.

Le Transition Town, letteralmente “città di transizione”, si inseriscono in quella realtà spesso etichettata come folle-ambientalista (ma che tale non è, almeno per me) che serpeggia sempre pù frequentemente nel panorama mondiale. Purtoppo, come spesso accade, movimenti che cercano di immaginare ed anticipare gli scenari futuri plausibili dal punto di vista ambientale, vengono relegati in nicchie poco visibili: chissà, magari proprio da una di queste nicchie potrà partire un nuovo percorso verso nuove città sostenibili e autosufficienti.

Una “città di transizione“, non è altro che una città che ha deciso di vivere senza l’utilizzo del petrolio e con un occhio sempre fisso sul riscaldamento terrestre.

Il movimento delle Transition Town nasce nel 2003 e conta oggi circa 185 aderenti tra paesi e province in tutto il mondo, società che hanno scelto di riconfigurare i modelli attraverso i quali si vive, si consuma, si produce e ci si occupa della propria salute.

Attraverso il Transition Network si possono trovare informazioni sulle associazioni aderenti al mondo, sulle città impegnate a raggiungere gli standard prefissati, sulle teorie che da un esperimento di studenti irlandesi hanno portato ad un movimento ben organizzato.

Per quanto riguarda la meta delle suddette vacanze, potete scegliere tra la lista dei 185 aderenti, foresta inclusa, dalle città del Regno Unito, alla Nuova Zelanda, all’America. Se proprio siete a corto di tempo, allora potete organizzarvi per visitare l’unica città di transizione italiana, Monteveglio.

Fonte: http://www.teneraerbetta.it/

Buone vacanze a tutti.

InAmbienTe vi augura di trascorrere un bel periodo ristoratore all’ombra di una bella palma in riva ad un mare limpido e con una bella sabbia bianca… se, però, la vostra realtà sarà quella di una vacanza di studio per recuperare gli esami… beh… allora vi auguro un in bocca al lupo grandissimo… prima o poi arriverà quel meritato riposo che vi spetta.

Buon tutto!!!!

Wolfram Alpha: chiedi e ti sarà dato!Ecco un rivoluzionario progetto che risponde a qualsiasi domanda.

Annunciato come il concorrente diretto di Google, Wolfram Alpha si è rivelato cosa ben diversa. Lanciato lo scorso 15 Maggio, questo rivoluzionario portale ideato e realizzato da Stephen Wolfram genio discusso della cominutà scientifica mondiale (tra l’altro realizzatore del software matematica), promette di dare risposta a qualsiasi domanda sia possibile fare.

Wolfram AlphaPer iniziare non ho fatto altro che digitare, su Wolfram Alpha, questi numeri “1 1 2 3 5 8”, la risposta, immediata e completa, mi riporta alla serie di Fibonacci, con diagrammi e possibili forme alternative. Unico limite di Wolfram è che capisce solo l’inglese, infatti se avete la necessità di conoscere il flash point di Metano, Butano ed Ottano dovete chiedere “flash point methane, butane, octane” e vi sarà data la risposta completa. Inoltre, ogni risposta è scaricabile in formato pdf, in modo da poterla stampare e conservare.

Il portale è utile per qualsiasi esigenza, da richieste di matematica a richieste di chimica, passando per l’ingegneria, per la geografia, ecc. Basta fare la proprio richiesta ed attendere pazienti ed ansiosi la risposta. Per rendere agevole la formulazione delle domande è presente una sezione con numerosi esempi classificata per argomenti, inoltre è presente un utile blog con numerosi articoli e una sezione dedicata alla community.

Non resta che farci venire in mente una domanda… quindi!

Al cnr di Pozzuoli (Na) un interessante processo di ricerca: buste biodegradabili dagli scarti della lavorazione del pomodoro.

La Campania è la terra del pomodoro per eccellenza, lo sanno tutti, e proprio dalla regione che ogni anno produce e trasforma circa 3 milioni di tonnellare di pomodori arriva una interessante novità: realizzare buste dagli scarti di lavorazione del pomodoro. In pratica, si riuscirà a dare un senso alla quantità di rifiuti (fastidiosissimi soprattutto negli impianti di depurazione) che si hanno dall’inscatolamento del passato di pomodoro e, inoltre, si realizzerà un prodotto totalmente biodegradabile.

Lavorazione del pomodoroIl progetto di ricerca nasce e si sviluppa nel cnr di Pozzuoli (Na) dove Barbara Nicolaus, ricercatrice del Cnr e autrice dello studio, sta trovando il modo di estrarre i polisaccaridi ottenuti dagli scarti della lavorazione del pomodoro per purificarli e riconvertirli in buste di plastica biodegradabili”. Le caratteristiche chimico-fisiche del polisaccaride estratto dalle bucce del pomodoro sono molto interessanti e consentono di sviluppare materiali ecodegradabili di notevole importanza, come i teli impiegati in agricoltura per la copertura delle serre o dei campi.

Non solo buste o teli per l’agricoltura, ma i polisaccaridi permettono innumerevoli altri usi. Infatti, grazie alle loro proprietà chimico-fisiche (supporti per resine, componenti del plasma artificiale ecc.), possono essere impiegati anche nell’industria alimentare o in quella farmaceutica grazie a proprietà antigeniche e patogene. Una volta purificate, queste sostanze possono essere utilizzate dalle industrie di trasformazione.

Riuscire a rendere realtà questo ambizioso progetto di ricerca, può avere innumerevoli risvolti sulla società e sulla economia. Si potrebbero avere nuovi posti di lavoro, si avrà sicuramente la soluzione dei problemi legati all’eliminazione degli scarti dell’industria conserviera, alla riduzione di costi, fino al miglioramento del sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti o dei residui invenduti.

La Campania, di solito, è vista sempre come l’ultima delle realtà Italiane ed Europee, ma in termini di ricerca e di risorse umane preparate e propositive non è seconda a nessuno. Spero in un successo, lo spero con tutto me stesso.

Vuoi conoscere la temperatura o l'umidità di una qualsisi zona del mondo? con World Climate basta solo un click.

Ho trovato davvero interessante ed utile il servizio offerto da World Climate, sito che permette di conoscere immediatamente i dati climatici di qualsiasi zona della terra in modod rapido e preciso.

 Mappa World Climate

Basta andaresu questa pagina e cliccare sul punto di interesse per leggere una serie di dati utili che vanno dai dati geografici (latitudine, longitutine, quota sul livello medio del mare, ecc.) passando per la temperatura, per le precipitazioni ed il gradi di umidità medio. Il tutto in formato grafico o tabellare. Un ottimo strumento per chi ha necessità di fare studi di telerilevamento o, semplicemente si approccia alla fisica tecnica.

A questo indirizzo sono presenti tutti i comuni italiani.

"Discarica sostenibile" in ambiente aerobico, si può fare? Ecco le nostre perplessità sul sistema IBIT proposto dalla Envitech di Milano.

Grazie alla segnalazione di un solerte utente, siamo venuti a conoscenza di una tecnologia “rivoluzionaria” (così viene definitia dal nostro segnalatore) che potrebbe risolvere i problemi delle discariche, convertendole da mostri maleodoranti in oasi di benessere. IBIT, così si chiama questo processo innovativo, è un brevetto della SA Envitech s.r.l. di Milano. Premetto che la tecnologia proposta dalla società milanese applica sistemi abbastanza noti e che spesso ci siamo ritrovati a studiare nel corso di Impianti di Trattamenti di Ingengeria Sanitaria Ambientale, quindi la novità del brevetto starà sicuramente nella tecnologia impiantistica piuttosto che nella metodologia di intervento, ed è proprio qui che nascono le perplessità: come fanno?

Mi raccomando, cliccate sul link proposto, informatevi sulla teconologia e poi, proseguite nella lettura di questo articolo…

Sistema IBIT per la discarica sostenibileRiassumendo (per chi non ha proprio intenzione di dare una occhiata al sito proposto), lo scopo di IBIT è quello di migliorare le cinetiche di degradazione del rifiuto convertendo le discarica da anaerobiche in aerobiche tramite insufflaggio di aria e di acqua. In pratica, tramite delle apposite colonne di insufflaggio, si introduce all’interno della discarica ossigeno disciolto che crea i presupposti per la crescita di batteri aerobi che degradano la sostanza organica in modo pù rapido, pù efficiente e con meno problemi di odori molesti.

Una prima perplessità che mi viene sta proprio nella realizzazione di un efficiente ambiente aerobico all’interno di una discarica che, come possiamo immaginare, non è assimilabile ad un ambiente nel quale l’ossigeno possa circolare comodamente. E’ già difficile imporre un regime aerobico all’interno di un reattore circoscritto, figuriamoci all’interno di un catino enorme, aperto ed in continua mutazione.

Inoltre, e questo mi rende ancora pù perplesso, IBIT necessita non solo di aria ma anche di acqua: in pratica si deve pompare acqua all’interno della discarica, cosa che può risultare controproducente, visto il gravoso fenomeno del percolato.

Insomma, da come si legge sul sito della Envitech, si vorrebbe convertire la discarica da sistema di degradazione anaerobico in sistema di degradazione aerobico insufflando aria e pompando acqua, in modo da aumentare le cinetiche di reazione, da migliorare l’efficienza di degradazione e rendere la discarica meno fastidiosa. Basta ricordare, però, che per insufflare e che per pompare bisogna spendere un bel po’ di soldi (in energia elettrica), cosa non preoccupante si pensa all’energia ricavabile dal bio-gas, ma, purtroppo, nei sistemi aerobici quest’ultimo è prodotto in quantità molto basse. Senza considerare che bisogna rispettare certi equilibri termici altrimenti alcune famiglie di batteri non potranno essere efficienti. Quindi, si spenderanno sicuramente molti soldi per farlo funzionare, senza la certezza di un rendimento soddisfacente.

Diverso è il discorso nel caso in cui si vuole utilizzare questa tecologia per la bonifica o la messa in sicurezza di zone circoscritte e di piccole dimensioni, caso molto frequente nelle nostre realtà campane. Infatti, grazie alla sempice applicabilità e grazie ai piccoli volumi interessati, questa tecnologia risulterebbe semplice da realizzare ed altrettanto semplice da gestire, con effetti immediati e soddisfacenti.

Forse ci sbagliamo, ma pensare di gestire enormi volumi di rifiuti, in ambienti ostili e poco omogenei come proposto dalla Envitech con il sistema IBIT sembra essere azzardato e di difficile realizzazione; di contro, applicarla a piccoli volumi, in casi estremi di inquinamento del suolo, sicuramente porta benefici e vantaggi.

Bere direttamente dalle pozzanghere? Grazie a LifeStraw ora si può!

LifeStrawGuardate questa foto, a me da’ un senso di vittoria profonda: bere direttamente da una pozza d’acqua, senza preoccuparsi di colera o di malattie infettive, tutto in sicurezza. A chi il merito? Vediamo!

Avere idee semplici e geniali non è da tutti, ma quella avuta da Mikkel Vastergaard-Frandsen è davvero rivoluzionaria. Con soli 3,50 euro (e sottolineo 3,50 euro!!), si può acquistare una cannuccia che permette di bere l’acqua direttamente dalla fonte senza preoccuparsi di disinfettarla o di migliorarne le proprietà organolettiche.

Vastergaard è figlio di imprenditori del tessile, suo nonno produceva uniformi e divise da lavoro. Ma al nostro geniale inventore, di seguire le orme del nonno non gli andava proprio e, quindi, appena ha potuto è volato via verso nuovi orizzonti. Ha attraversato l’Africa e l’India vivendo realtà che l’hanno molto scosso e che gli hanno dato stimolo e forza per raggiungere questo importate traguardo.

In Nigeria ha cercato sopravvivenza nel commercio di auto usate ma, quando la situazione nigeriana è degenerata, ha pensato bene di tornare in Danimarca e di aiutare il padre nel commercio di panni di lana da vendere alla Croce Rossa che le ha destinate in Ruanda, dando un primo senso allo stimolo ricevuto in Africa.

LifeStraw è un depuratore portatile e non ha bisogno di elettricità. L’acqua, che viene succiata come da una cannuccia, attraversa quattro filtri diversi. Nel primo si ha una filtrazione e l’eliminazione dei sedimenti (con d > decimo di millimetro); nel secondo, di poliestere, si ha l’eliminazione della carica batterica. Il terzo settore è un comparto impregnato di iodio che riduce la percentuale di virus del 99,3 per cento. Infine, si ha un filtro a carboni attivi che elimina le sostanze tossiche residue (metalli pensanti ecc.), migliorando il sapore e l’odore dell’acqua.

Oltre a LifeStraw, Vastergaard ha all’attivo altri due progetti. Il primo PermaNet, serve a ridurre gli effetti della malaria e funziona come una zanzariera impregnata di insetticida; la seconda, ZeroFly, serve a ridurre la presenza di mosche.

Renew Energy, la prevenzione rende l'energia solare più efficiente.

Sempre di pù le università italiane riescono a dare vita a progetti innovativi, nonostante i continui tagli ai fondi della ricerca, e sempre di pù si riesce a spingere il mondo dell’energia verso fonti pulite. La startup, società spin-off dell’università di bari, ha messo a punto un Renew Energy un sistema che riesce a monitorare e a migliorare l’efficenza dei pannelli solari ed agisce come un trattamento sanitario preventivo che impedisce all’impianto fotovoltaico di perdere colpi sotto l’azione del tempo e dell’usura.

Il progetto si basa su analisi statistiche e su rilevazioni termografiche. Tramite le analisi statistiche, il progetto mira a determinare quali stringhe di pannelli  sono pù deboli in modo da prevenire eventuali guasti e, quindi, riduzioni dell’efficienza, con le rilevazioni termografiche, invece, tramite dei raggi infrarossi, si misurano le concentrazioni e le dispersioni di calore in modo da consentire il montaggio dei pannelli nel migliore dei modi. Avremo, quindi: pannelli funzionanti e ben posizionati.

Renew Energy sta attirando molti interessi sia privati che pubblici, come l’agenzia regionale della Puglia che ha anche contribuito con un finanziamento al progetto.